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Di cosa parliamo quando parliamo di Queer? Una conversazione con Cristian Lo Iacono

Giulia Selmi

A cura di Giulia Selmi, sociologa, Gruppo di redazione.

Nel dibattito scientifico, così come nell’attivismo, negli ultimi anni si è sempre più diffuso il termine 'Queer' quale ulteriore prospettiva per rendere conto della molteplicità degli orientamenti e delle identità sessuali. Per comprendere al meglio la genealogia di questo termine e i suoi molteplici significati ne abbiamo discusso con Cristian Lo Iacono, filosofo e curatore, insieme ad Elisa Arfini, di Canone Inverso – Antologia di teoria queer, edito da ETS.

Dal punto di vista etimologico, qual è l’origine ed il significato del termine queer?

Queer è un termine della lingua inglese per designare le persone omosessuali, in particolare 'i maschi omosessuali effeminati'. Per lungo tempo si è trattato di un dispregiativo, di un insulto: 'deviato, checca'. Dal punto di vista etimologico, in inglese il termine è attestato intorno al 1500 e significa 'strano, particolare, eccentrico'. Molto probabilmente l'origine più remota è germanica. Infatti, in tedesco troviamo l'aggettivo quer, che ha il significato di 'obliquo, perverso'. Anche il verbo to queer, in origine, ha un senso prettamente negativo che significa andar male, andare in rovina.

Dunque, prima ancora che avere un significato prettamente connesso con la sessualità deviante, il termine ha a che fare con la deviazione, e con la devianza in quanto tale. Solo successivamente, intorno agli anni venti, l'aggettivo si applica agli 'omosessuali maschi effeminati': il termine fu impiegato con questo significato nel 1925 dalla rivista teatrale americana "Variety". Del resto, se il termine gergale per indicare l'uomo o la donna eterosessuale è, in inglese, straight, che vuol dire 'diritto', 'giusto', 'convenzionale', per opposizione l'omosessuale, e in generale chi devia dalla norma eterosessuale, deve essere 'queer'. Ciò che è interessante notare è che il dualismo tra norma e devianza, da un lato, non è una semplice contrapposizione, ma è fondato su un giudizio di valore (positivo contro negativo, buono contro cattivo, ecc). Dall’altro, è interessante notare che questo dualismo ha un duplice aspetto: da un lato oppone eterosessualità (corretta) a omosessualità (scorretta), dall'altro, oppone maschilità (corretta) a femminilità (scorretta).

Negli ultimi vent’anni, però, il termine queer ha assunto un significato differente e, per esempio, ad oggi la teoria queer è riconosciuta come vero e proprio campo di studi. Quando è iniziato questo processo? E, quali sono i principali aspetti di questo approccio teorico?

Sì, ad oggi il termine queer identifica un campo di studi ampio ed interdisciplinare sulle questioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere, ma anche alla loro intersezione con gli altri possibili posizionamenti identitari come la classe sociale, la provenienza geografica, la disabilità, eccetera.

Per la sua 'data di nascita' abbiamo una data certa, ovvero il 1991, anno in cui fu pubblicato un numero speciale della rivista accademica americana "Differences", curato da Teresa de Lauretis. Nell’introduzione al fascicolo, de Lauretis parla esplicitamente di queer theory come di un campo di studi sulle sessualità lesbiche e gay, ma anche di impegno teorico-pratico in cui le esperienze e i saperi di gay e lesbiche possano finalmente incontrarsi dopo anni di sviluppo quasi parallelo e di vita poco condivisa tra le due soggettività. Successivamente è stata la filosofa statunitense Judith Butler a consolidare il campo della teoria queer, conducendo la riflessione sulle complesse connessioni tra genere, corpo e orientamento sessuale e invitandoci ad abbandonare definitivamente una visione essenzialista delle identità e delle sessualità – ovvero una visione che fa ricorso alla 'natura' o 'all’essenza' degli individui per spiegarne comportamenti, emozioni, pratiche e posizioni sociali differenziati.

Un’ulteriore prospettiva teorica queer viene dal mondo gay maschile e si è focalizzata sulla messa in discussione della cosiddetta 'omonormatività' che, riprendendo il ben più noto termine eteronormatività, definisce l’aspetto normativo (e, di conseguenza, escludente) della cultura omosessuale dominante. Se, dunque, negli ultimi quarant’anni la norma (etero)sessuale ha avuto uno spostamento, non è stata decostruita: semplicemente ha incluso una parte dei comportamenti e degli stili di vita una volta considerati non degni di riconoscimento (come quelli di alcune specifiche modalità di essere gay o lesbica) escludendone altri, escludendo cioè quei soggetti che per modo di essere, condizioni culturali o economiche, non arrivano a quello standard o lo rifiutano.

Per quanto riguarda l’attivismo ed i movimenti LGBT quando si diffonde una prospettiva queer?

Sul piano dell’attivismo politico, il termine queer, viene adottato consapevolmente negli stessi anni a cavallo tra la fine degli anni ottanta e i primissimi anni novanta. Potremmo dire che designa la messa in pratica di quelle aspirazioni a cui de Lauretis e altri accennavano: fronte comune tra gay e lesbiche e attenzione alle differenze interne. Nasce la strategia che verrà detta della 'intersezionalità' delle lotte, che consiste nella rinuncia alla rappresentazione dei soggetti, gay, lesbiche e trans, come soggetti unitari e monodimensionali. Le persone LGBT non sono tutte uguali e sono diversamente posizionate all’interno della società in base a diverse 'appartenenze', spesso in conflitto tra loro. Per fare un esempio: cosa è il lesbismo per una donna nera? Oppure, cosa significa essere gay per un disoccupato che non riesce a stare al passo con il modello consumistico della 'comunità' gay, fatta di locali e di mercificazione del look? Concretamente, a partire dagli Stati Uniti, queste nuove alleanze si sono formate in un contesto di forte recrudescenza dell’omofobia conseguente all’esplosione dell’epidemia dell’AIDS. Il primo attivismo queer, infatti, è nato attorno alle 'azioni dirette' dei gruppi di gay, lesbiche e trans per rivendicare dignità e per costruire delle reti di protezione per le persone (in maggioranza gay) che stavano morendo una dopo l’altra.

In sintesi, oggi cosa designa il termine queer?

In un certo senso queer è venuto a sostituire il termine 'omosessuale', ma anche 'gay', 'lesbica', 'transessuale', 'transgender', quando si vuole usare un termine per designare la rottura con la norma eterosessuale. All’interno del contesto delle diversità sessuali ha assunto uno specifico significato che vuole mettere in discussione la distinzione tra sesso, orientamento sessuale e genere e che ci ricorda quanto articolati e complessi sono i differenti aspetti che compongono le identità.

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La parola “balletto” veniva utilizzata come metafora per indicare la natura sessuale di tale caso, mentre l’aggettivo “verde” veniva impiegato non solo per indicare la giovane età dei ragazzi coinvolti nella vicenda, ma anche per sottolineare la natura omosessuale dello scandalo. Il colore verde, infatti, veniva spesso associato all’omosessualità, richiamo forse a un vezzo di Oscar Wilde, il quale era solito indossare un garofano verde sul bavero della giacca.

Il fatto che lo scandalo fosse scoppiato non in una grande città, bensì in una realtà provinciale, rese la vicenda ancora più accattivante. I “balletti” vennero visti come un chiaro segnale di come l’omosessualità si stesse pericolosamente diffondendo persino in comunità considerate immuni da tali “pratiche”.


 

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