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DIVERGENTI: l'identità di genere raccontata in un festival di cinema

Mara Pieri

A cura di Mara Pieri, sociologa, Gruppo di redazione.

Nel 2008 nasceva a Bologna il primo festival di cinema trans italiano“Divergenti”: da sette edizioni, il festival presenta film internazionali che raccontano l'identità di genere attraverso le sfumature più diverse, portando in Italia autori, autrici e artisti da tutto il mondo, e proponendo al pubblico riflessioni e sfide sempre diverse: ne abbiamo parlato con Luki Massa, direttrice artistica del festival.

“Divergenti” ha appena chiuso la settima edizione: qual è il bilancio per il 2014?

Possiamo fare diversi bilanci. Dal punto di vista della qualità della proposta cinematografica, continuiamo a registrare di anno in anno una maturità sempre maggiore sia in termini di elaborazione dell'esperienza trans che di uso consapevole e comunicativamente efficace del linguaggio cinematografico. Se nelle prime edizioni la chiave vittimistica era quella dominante, sia nelle fiction che, a maggior ragione, nei documentari, adesso l'approccio narrativo è molto più articolato e ampio: storie come quella di Beatrice, protagonista del film "Fuoristrada", vincitore quest'anno sia del premio del pubblico che del premio della giuria di qualità, ci raccontano un cambiamento che sta già avvenendo, in cui il transessualismo può essere un percorso gioioso e intenso alla ricerca della felicità. Inoltre, anche quest'anno, il riscontro del pubblico è cresciuto ed è aumentata la percentuale di pubblico trans: questo mi fa molto piacere perché coinvolgere le persone trans era fin dall’inizio uno degli obiettivi del festival.

Com'è nato “Divergenti” e come è cambiato nel corso degli anni?

Il festival è nato nel 2008 da un forte desiderio del MIT (Movimento Identità Transessuale): stanche di vedere le persone transessuali in bilico tra l'invisibilità e la stigmatizzazione, tra il pregiudizio e la vittimizzazione nei media e nel cinema mainstream, Marcella Di Folco, Porpora Marcasciano e le attiviste del MIT hanno deciso di creare un festival che contribuisse a riscrivere la storia trans, a far circolare un immaginario del transessualismo più variegato e complesso e a trasmettere la 'favolosità' dell'esperienza trans. Per farlo hanno coinvolto me nella direzione artistica e nella scelta dei film, come esperta di cinema, in particolare cinema lesbico e femminista, che aveva un rapporto politico e affettivo molto stretto con il MIT. Nel corso degli anni il gruppo di lavoro è cresciuto, coinvolgendo ragazze e ragazzi trans anche molto giovani. Inoltre sono stati invitati sempre più spesso ospiti internazionali, dai registi alle pioniere del movimento, dai protagonisti dei film alle artiste trans. Una novità degli ultimi due anni è la giuria di qualità formata da giornaliste/i, critiche/i, scrittrici, direttori di altri festival italiani.

Il festival costituisce un'eccellenza italiana: in che modo viene percepito anche all'estero e quali sono i rapporti con altri festival e organizzazioni internazionali?

In Italia Divergenti rappresenta l'unico festival cinematografico a tematica transessualetransgender e intersex. Le uniche altre due esperienze in Europa sono i festival di Amsterdam e Parigi, con cui abbiamo collaborato in alcune occasioni. All'estero il festival è sicuramente percepito come importante occasione di visibilità del cinema a tematica trans, considerando che sono molto cresciute negli anni le autocandidature di film. Inoltre i progetti europei che il Mit realizza hanno permesso di far confluire nel festival occasioni importanti di confronto internazionale sulle tematiche trans, come ad esempio il workshop su transessualismo e media realizzato lo scorso anno insieme alle e agli attiviste/i inglesi di Trans Media Watch.

“Divergenti” ha contribuito a cambiare il mondo LGBT in Italia: quali sono le sfide per le prossime edizioni?

Il festival ha il merito di aver facilitato l'emersione e la discussione di alcune tematiche importanti all'interno del movimento LGBTQ: penso all'intersessualità così come al dibattito sulla depatologizzazione che proprio quest'anno è stato il focus del Festival. La prima sfida per il futuro è sicuramente quella di continuare a proporre film e eventi culturali di qualità nonostante i tagli alla cultura che ovviamente colpiscono anche noi. Un'altra sfida è quella di portare Divergenti in viaggio per l'Italia, come è già stato fatto quest'anno con "Divergenti Speciale Napoli".

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Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini
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Nel 1962 un gruppo milanese – i Peos – incise un brano intitolato Balletti Verdi. Titolo e testo si ispiravano a un recente fatto di cronaca. Nell’ottobre 1960 la stampa italiana aveva dato grande spazio ad un’inchiesta riguardante l’organizzazione nel bresciano di “festini” a sfondo omosessuale dove, secondo i giornalisti, molti minori erano stati indotti alla prostituzione da adulti compiacenti. Nel giro di qualche settimana lo scandalo da locale divenne nazionale. La stampa iniziò a parlare di questa vicenda come lo “scandalo dei balletti verdi”.

La parola “balletto” veniva utilizzata come metafora per indicare la natura sessuale di tale caso, mentre l’aggettivo “verde” veniva impiegato non solo per indicare la giovane età dei ragazzi coinvolti nella vicenda, ma anche per sottolineare la natura omosessuale dello scandalo. Il colore verde, infatti, veniva spesso associato all’omosessualità, richiamo forse a un vezzo di Oscar Wilde, il quale era solito indossare un garofano verde sul bavero della giacca.

Il fatto che lo scandalo fosse scoppiato non in una grande città, bensì in una realtà provinciale, rese la vicenda ancora più accattivante. I “balletti” vennero visti come un chiaro segnale di come l’omosessualità si stesse pericolosamente diffondendo persino in comunità considerate immuni da tali “pratiche”.


 

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