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Omofilia e Guerra Fredda

Alessio Ponzio

Dopo il 1945 rilanciare uno stabile sistema familiare divenne per molti individui – e per molti governi – uno degli obiettivi principali da raggiungere. Tornare alla “normalità” dopo anni di guerra non fu semplice. Tuttavia, molte donne e molti uomini sentivano la necessità di una vita stabile, sicura e, in qualche modo, ordinaria.

Gli anni di guerra e l’anarchia dei mesi immediatamente successivi alla fine del conflitto furono orribili per molti individui. Ma essi furono anche, per molte persone, occasioni per trasgredire e sperimentare relazioni prematrimoniali, extraconiugali e queer che non sarebbero mai state possibili in tempo di pace.

Molte donne e molti uomini intrecciarono relazioni sentimentali e sessuali che varcarono confini probabilmente inaccettabili ed inimmaginabili prima della guerra e in tempi di pace. Donne e uomini dovettero spesso anche affrontare le conseguenze di tali comportamenti divenendo oggetto di risentimento, stigma e violenza. Anche se vittime principali della moralizzazione post-bellica furono soprattutto le donne.

In tutta Europa, ovest ed est, dopo le trasgressioni della guerra e del dopoguerra, i governi diedero il via a una nuova fase atta a riordinare i costumi sessuali e restaurare le tradizionali dinamiche di genere.

A partire dalla seconda metà degli anni Quaranta e per tutti gli anni Cinquanta i sistemi socio-sessuali di diversi paesi Europei sembrarono dunque essere contraddistinti da un diffuso conservatorismo. Tuttavia, al potere degli apparati statali e delle forze repressive si contrapponeva la resistenza di coloro che volevano continuare a vivere, per quanto possibile, la propria omosessualità.


Omofilia

La Seconda guerra mondiale fornì innumerevoli occasioni a uomini e donne per sperimentare e dare corpo ai propri desideri. Molte persone che avevano avuto avventure omosessuali durante la guerra cercarono di dimenticarle, ma per molte altre il conflitto fu una rivelazione. Il continuo contatto con individui dello stesso sesso offrì a donne e uomini diverse opportunità per capirsi. Ma per molti governi la guerra rese evidente quanto fossero diffusi dei comportamenti sessuali “non normativi” che si cercò in ogni modo di reprimere negli anni post-bellici.

Gli omosessuali, in particolare, vennero percepiti come una minaccia. Essi avevano il potere di convertire i giovani – irrimediabilmente – all’omosessualità, mentre era diffusa la convinzione infondata che fosse possibile forzare le donne a vivere una vita eterosessuale e a diventare madri. 

Gli omosessuali vivevano in un mondo complesso in cui, nonostante discrezione forzata, ansie e paure, era possibile ritagliarsi degli spazi dove poter soddisfare i propri bisogni sessuali ed essere in contatto con i propri “simili.” In Europa, tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta, erano presenti diverse organizzazioni omofile che portarono avanti delle iniziative culturali, sociali e politiche in patria e all'estero.

Queste organizzazioni invece di utilizzare il termine omosessuale optarono per un’altra parola. Esse volevano sottolineare come le relazioni tra persone dello stesso sesso andassero al di là della mera fisicità. Per questo motivo le associazioni del dopoguerra iniziarono ad usare il termine "omofilo" – dal greco ὁμός (stesso) e φιλία (amicizia) – per sottolineare come i legami tra i loro associati – e tra le persone dello stesso sesso più in generale – potessero andare al di là dell’atto sessuale. Il termine "omofilo" da allora venne ampiamente utilizzato in Europa e in Nord America, al posto di omosessuale, fino a quando, con la Gay Liberation di fine anni sessanta e inizio anni settanta, esso venne rigettato perchè considerato eccessivamente conservatore.

 

Svizzera

In Svizzera l'omosessualità venne depenalizzata nel 1942, anche se l’equiparazione dell’età del consenso (16 anni) è avvenuta solo nel 1992. Sin dagli anni Trenta esisteva un'organizzazione molto attiva, con sede centrale a Zurigo, chiamata: Der Kreis (Il circolo). Il suo obiettivo era celebrare i rapporti omofili, mettendo in evidenza la centralità dei sentimenti, e lottare per la piena accettazione dell'omosessualità in Svizzera e all'estero. L'associazione iniziò la sua attività pubblicando sin dal 1932 una rivista intitolata inizialmente Freundschaftsbanner (Stendardo dell’amicizia). Essa cambiò il suo nome in Menschenrecht (Diritti umani) nel 1937 e, in fine, venne battezzata Der Kreis dal 1942. La pubblicazione sarebbe continuata fino alla chiusura dell'associazione nel 1967. La rivista, inizialmente destinata anche alle lesbiche, a partire dal 1942 iniziò a concentrarsi esclusivamente su omosessuali maschi.

Nel 1942 la rivista aveva una tiratura bimestrale e circa 200 abbonati svizzeri. Nel 1957 gli abbonati erano migliaia, tra cui uomini di tutta Europa e degli Stati Uniti. La rivista veniva pubblicata in più lingue. Inizialmente era scritta solo in tedesco. Nel 1942 fu aggiunta una sezione francese e nel 1954 una inglese.

La rivista offriva notizie, racconti, poesie, fotografie, disegni e articoli di carattere scientifico. I membri del club di Zurigo si riunivano settimanalmente e, nel corso degli anni Cinquanta, organizzarono numerose serate che attiravano omosessuali da tutta Europa. 

 

Paesi Bassi

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il governo olandese abrogò la legge anti-omosessualità introdotta nel paese durante l'occupazione nazista. Tuttavia, il governo non depenalizzò del tutto l'omosessualità, ma reintrodusse la legge pre-nazista del 1911: il paragrafo 248bis. Esso criminalizzava le attività sessuali tra uomini maggiorenni e giovani di età inferiore ai 21 anni. Nonostante la repressione, e forse a causa di essa, in Olanda venne fondata una delle prime organizzazioni omofile in Europa.

Bon Angelo (Nick Engelschman) pubblicò la rivista Levensrecht (Diritto alla vita) per la prima volta nel 1940. Tuttavia, a causa dell'occupazione nazista, la pubblicazione fu sospesa immediatamente e poi ripresa nel 1946. Alla fine dello stesso anno Angelo e un gruppo di omosessuali e lesbiche fondarono un'organizzazione nota come Shakespeareclub. Nel 1949 lo Shakespeareclub fu ribattezzato Cultuur en OntspanningsCentrum (Centro Culturale e Ricreativo, COC). Gli obiettivi del COC erano due: 1) contribuire all'emancipazione sociale di omosessuali e lesbiche ed 2) offrire loro opportunità culturali e ricreative. A partire dal 1949 il Centro Culturale e Ricreativo iniziò a pubblicare una nuova rivista intitolata Vriendschap (Amicizia).

Il COC aprì un locale da ballo nel 1952 e uno nel 1955. Inoltre, nel corso degli anni Cinquanta, esso inaugurò nuove sedi in molte città olandesi oltre ad Amsterdam.

Tra il 1953 e il 1958 l'attivista del COC Henri Methorst organizzò discussioni tra omosessuali ed esperti (medici, avvocati ed ecclesiastici). Tali discussioni produssero nel lungo termine risultati positivi. Nel corso degli anni '60 sempre più professionisti iniziarono a pubblicare opere che puntavano a “normalizzare” la sessualità e nel 1971, con l’abrogazione dell’articolo 248bis, l’omosessualità venne decriminalizzata e l'età del consenso per omosessuali ed eterosessuali venne equiparata.

 

Francia

La criminalizzazione dei rapporti sessuali tra adulti e giovani minori di 21 anni venne introdotta da Vichy e mantenuta anche nel secondo dopoguerra. La legge puniva gli omosessuali con la detenzione da 6 mesi a 3 anni. Per combattere tale discriminazione, l'ex seminarista André Baudry fondò nel 1954 l’associazione e la rivista Arcadie, seguendo l'esempio di Der Kreis, con cui Baudry aveva collaborato per diversi anni. Nel 1957 Baudry e i suoi seguaci fondarono a Parigi un club per permettere l’organizzazione di eventi destinati agli iscritti. In origine Arcadie era un'iniziativa parigina, ma presto furono fondate sedi in molte altre città francesi. Arcadie, inizialmente destinata anche a lesbiche, divenne presto un'associazione incentrata principalmente sugli omosessuali maschi.

Nel 1957 la rivista contava circa 4.000 abbonati, che sarebbero diventati 10.000 alla fine degli anni Sessanta. Attraverso le sue pubblicazioni, Arcadie sosteneva la centralità della rispettabilità. L'obiettivo dell'organizzazione era presentare gli omosessuali come individui colti, dignitosi e meritevoli di una maggiore accettazione sociale. L'organizzazione reputava che l'ostilità verso omosessuali e lesbiche dipendesse in gran parte dai loro comportamenti. Si invitavano dunque tutti i membri a modificare i propri atteggiamenti pubblici e a comportarsi in modo discreto. Baudry respingeva l'uso del termine omosessualità enfatizzando come il termine omofilia evidenziasse meglio come per la sua organizzazione le emozioni fossero più importanti delle attività meramente sessuali.

Nonostante tale enfasi sulla rispettabilità, il Ministero degli Interni vietò che la rivista fosse visibile nelle edicole e venisse venduta ai minori. Questo divieto rimase in vigore fino al 1975.

Inoltre, nel 1960 il Parlamento francese introdusse una nuova misura contro l'omosessualità.  Durante un dibattito parlamentare su un disegno di legge governativo contro le "piaghe sociali" dell'alcolismo e della prostituzione, Paul Mirguet propose un emendamento che mirava a classificare anche l'omosessualità come una “piaga” da includere nella lista. La proposta, approvata, causò un inasprimento delle pene previste per atti osceni in luogo pubblico in caso di persone dello stesso sesso. La legge, bersaglio delle campagne di Arcadie, aumentò lo stigma contro l’omosessualità e venne abrogata solo nel 1980.

A partire dal 1959 Arcadie pubblicò una sezione curata da Maurizio Bellotti e intitolata Nouvelles d'Italie in cui si parlava di omosessualità in Italia. La rubrica, focalizzata su cronaca, cultura e società, sarebbe apparsa sulla rivista fino alla sua chiusura nel 1982.

 

Germania

Il paragrafo 175 – riveduto dai Nazisti nel 1935 – e il paragrafo 175A - introdotto nello stesso anno – non vennero abrogati dopo la fine della guerra. Molti individui, dopo il rilascio dai campi nazisti, finirono per esser nuovamente arrestati per completare la pena detentiva per violazione delle leggi che criminalizzavano l’omosessualità.

Subito dopo la fine della guerra, nella Germania occupata dagli Alleati, i giudici tendevano a comminare multe piuttosto che pene detentive per violazione dei due paragrafi. Molti omosessuali nella Germania occidentale speravano che, come fatto per altre leggi naziste, gli americani favorissero la decriminalizzazione dell’omosessualità. Ma gli americani che, come vedremo non erano certo meno omofobi di altri, si rifiutarono di abrogare il paragrafo 175 e 175A. Negli anni Cinquanta, quando la Germania occidentale tornò ad essere autonoma, ripresero i procedimenti giudiziari aggressivi. Nella Germania orientale, nel 1950, vennero abrogati gli emendamenti nazisti e re-istituita la legge del 1871.

Nella Germania occidentale a guida democratico-cristiana il governo, piuttosto che parlare degli orrori della guerra e dell’Olocausto, preferì puntare alla battaglia per la moralizzazione dei costumi accusando i nazisti di aver causato promiscuità ed immoralità. Per il governo divenne essenziale ripristinare la famiglia eteronormativa e sostenere la maternità per garantire così la rinascita post-nazista del paese.

Negli anni Cinquanta religiosi ed esponenti di partiti conservatori sostenevano che l'omosessualità fosse contagiosa e che i giovani dovessero essere protetti. Anche il cinema tedesco ebbe ruolo importante nel presentare gli omosessuali come predatori. Nel 1957 uscì nelle sale il film Anders als du und ich (Diverso da te e da me) di Veit Harlan, regista noto nella Germania nazista per aver diretto il film antisemita Jud Süß. La pellicola, girata tra il maggio e il giugno 1957, fu presentata in anteprima in diversi cinema viennesi nell'agosto 1957, con il titolo originale Das Dritte Geschlecht (Il Terzo Sesso). Tuttavia, l’uscita nella Germania Ovest fu inizialmente bloccata dalla censura. A parere della commissione, il film era eccessivamente benevolo nei confronti dell'omosessualità. Essa doveva invece essere rappresentata come una minaccia grave per la società. Dopo aver eliminato e ridiretto diverse scene, il film fu finalmente approvato per l'uscita con il nuovo titolo Anders als du und ich (§175). Tra le varie modifiche apportate per soddisfare i requisiti della censura, vi fu la decisione di tagliare all'inizio del film l'intervista con psicologi e sessuologi sul tema dell'omosessualità. Il film venne riformulato per mostrare come l'omosessualità potesse essere un pericolo per tutti e come i giovani, con l'intervento tempestivo di genitori e adulti rispettabili, potessero essere “salvati”. 

Nel corso degli anni Cinquanta, gli attivisti tedeschi contestarono il paragrafo 175 e il paragrafo 175A sostenendo la loro incostituzionalità. La criminalizzazione dell'omosessualità maschile, a loro parere, non solo era contraria al diritto dell'individuo al "libero sviluppo della personalità" ma essa non rispettava il principio che tutti i cittadini tedeschi fossero uguali dinanzi alla legge senza distinzione di sesso. Trattare diversamente uomini e donne in base al Paragrafo 175 significava discriminare in base al sesso. Tuttavia, secondo il legislatore tedesco, l'omosessualità maschile e il lesbismo non erano la stessa cosa. Gli omosessuali maschi erano considerati pericolosi a causa della loro presunta capacità di deviare giovani uomini "normali". La protezione dei giovani doveva prevalere.

Nella Germania post-nazista non erano presenti delle organizzazioni omofile. Associazioni sarebbero nate solo più tardi nel corso degli anni Sessanta. L’omosessualità venne decriminalizzata nella Germania Est nel 1968 e nella Germania Ovest nel 1969. Tuttavia, solo nel 1994, nella Germania unificata, l’età del consenso di omosessuali ed eterosessuali venne equiparata.

 

Gran Bretagna

Come in Germania anche in Gran Bretagna non erano presenti organizzazioni o pubblicazioni omofile nel corso degli anni Cinquanta. E, anche qui, l’omosessualità continuò a rimanere illegale negli anni seguenti la Seconda guerra mondiale.

Una delle vittime della criminalizzazione fu il matematico Alan Turing, il quale aveva svolto un ruolo essenziale nel decifrare i messaggi in codice inviati durante la guerra dai Nazisti tramite la macchina “Enigma”. Per questo motivo è ricordato ancora oggi. Ma Turing era anche un omosessuale e nel 1952 venne condannato per questo motivo. Per evitare il carcere accettò la castrazione chimica.  Tuttavia, nel giugno 1954, a causa della sua profonda depressione, si suicidò.

Il 1954 fu anche l'anno del cosiddetto “Scandalo Montagu”. Lord Montagu, Michael Pitt-Rivers e Peter Wildeblood furono accusati di attività omosessuali con due giovani militari della Royal Air Force. Wildeblood ammise apertamente la sua omosessualità durante il processo. Montagu fu condannato a 12 mesi, mentre Pitt-Rivers e Wildeblood dovettero trascorrere 18 mesi in prigione.

Peter Wildeblood utilizzò il tempo trascorso in prigione per scrivere e nel 1955 e 1956 pubblicò due libri. Il primo, Against the Law, era una autobiografia in cui egli parlava apertamente della propria omosessualità e sottolineava la necessità di riformare la legge. Il secondo, A Way of Life, era una raccolta di saggi il cui scopo principale era "normalizzare" l'omosessualità. 

Il verdetto del processo Montagu divise l'opinione pubblica e portò alla convocazione nel 1954 di un comitato – noto come Wolfenden Committee dal nome del suo presidente John Frederick Wolfenden. Il comitato, formato da avvocati, ecclesiastici e medici doveva analizzare lo stato della legge in materia di omosessualità maschile e prostituzione femminile. La commissione intervistò diversi esperti, ma volle anche ascoltare alcuni omosessuali.

Trovare persone disposte a testimoniare fu difficile. L'idea iniziale di pubblicare un annuncio su un giornale o una rivista fu scartata a favore della scelta di tre uomini selezionati dalla commissione: Carl Winter, storico dell'arte britannico, Patrick Trevor-Roper, chirurgo oculista, e Peter Wildeblood. Dopo tre anni di deliberazioni e oltre sessanta riunioni, il comitato pubblicò nel 1957 un rapporto che raccomandava, tra le altre cose, di depenalizzare i rapporti omosessuali consensuali in privato per gli adulti di età superiore ai 21 anni. La raccomandazione del Comitato venne concretizzata solo dieci anni dopo la pubblicazione del rapporto. L'omosessualità venne depenalizzata infatti in Inghilterra e Galles solo nel 1967. In Scozia e Irlanda del Nord si dovette attendere, rispettivamente, fino al 1981 e 1982.

 

Italia

Gli anni Cinquanta in Italia furono un periodo di ricostruzione politica, economica, sociale e culturale. Come in altri paesi occidentali, durante la Guerra Fredda, la devianza sessuale venne percepita come un pericolo contro il quale il paese doveva difendersi favorendo l’eterosessualità e opponendosi all’omosessualità. 

Anche se l'omosessualità era stata depenalizzata in Italia nel 1889, il fascismo, salito al potere negli anni Venti, adottò una "strategia di occultamento" dell’omosessualità, ritenendo che il silenzio fosse il modo migliore per proteggere gli uomini e i giovani dal "contagio". 

Dopo il 1945 anche la DC continuò con la congiura del silenzio. Lo stato non criminalizzò l'omosessualità, ma delegò la sua repressione alla Chiesa cattolica. Tuttavia, la stampa – ora libera dalla censura fascista – diede grande spazio a scandali ed omicidi che avvenivano nell’“ambiente” omosessuale. I giornalisti presentavano gli omosessuali come una minaccia costante contro la società, l'istituzione familiare e il futuro della nazione incarnato dalle nuove generazioni.

Gli anni Cinquanta vengono spesso percepiti come un periodo “tradizionalista” e conservatore. Tuttavia, un’analisi più attenta rivela come l’Italia del dopoguerra fu sì caratterizzata da discrezione sessuale, rispetto della morale cattolica e devozione alla famiglia, ma essa fu anche la terra dei latin lovers e un paese dove molti sperimentarono una certa libertà sessuale. 

La Roma degli anni Cinquanta è ricordata per il glamour della “dolce vita”. Star del cinema, uomini d'affari, playboy, artisti e scrittori condividevano i loro spazi con donne e uomini spesso provenienti dalle borgate periferiche. Gli omicidi di due omosessuali, l’attore Ermanno Randi (1951) e il medico Quintino Livio Caucci (1952), e la misteriosa morte di Wilma Montesi (1953) trasformarono Roma, agli occhi delle autorità italiane, in una moderna Babilonia. 

L’omicidio di Caucci, ucciso da due giovani marchette, attirò l'attenzione dei media e spinse la polizia ad avviare una campagna per lottare contro la presunta “minaccia omosessuale”. Il 7 settembre 1952, la polizia emanò una circolare dal titolo inequivocabile: "Omosessualità-repressione". In questo documento si spiegava che, anche se la legge italiana non sanzionava l’omosessualità, la polizia aveva il dovere di contenerla con tutti i mezzi a disposizione. Nelle settimane successive all'emanazione della circolare la stampa iniziò a riferire di rastrellamenti effettuati dalla polizia nei parchi romani e a descrivere l’azione delle forze dell’ordine come una guerra contro il "terzo sesso".

La necessità di tenere sotto controllo gli omosessuali nella capitale fu ribadita il 26 aprile 1954 dal questore. La protezione della morale pubblica a Roma era vista come particolarmente importante a causa delle delegazioni diplomatiche presenti nella capitale e a causa della natura sacra della città. Nel suo regolamento, che dettava una serie di norme volte a preservare l'ordine pubblico, il questore invitava a tenere sotto controllo tutti gli "anormali" che rappresentavano un serio pericolo per la moralità dei cittadini.

A partire dal dicembre 1956, con l'introduzione della legge numero 1.423 del 27 dicembre 1956 – Misure di prevenzione nei confronti delle persone ritenute pericolose per la sicurezza e la moralità pubblica – la polizia italiana avrebbe avuto un nuovo strumento a disposizione per reprimere omosessualità e non conformità di genere. Con tale provvedimento il Parlamento italiano sanzionò, con sottili modifiche, i metodi della polizia fascista.

In base a questa legge i Questori potevano diffidare tutte le persone che svolgevano attività ritenute contrarie alla morale pubblica (art. 1). Se non modificavano il loro comportamento, potevano essere applicate contro di loro le seguenti misure: rimpatrio e soggiorno forzato nel comune di residenza fino a tre anni (art. 2) e, in caso di persone ritenute particolarmente pericolose, sorveglianza speciale o soggiorno forzato in un luogo remoto scelto dalla polizia (art. 3). Questa legge replicava, in qualche modo, quanto fatto dai Fascisti. L'unica differenza era che le misure previste dall'articolo 3 (sorveglianza speciale e confino) avrebbero avuto bisogno dell'approvazione di un giudice per essere applicate legalmente (art. 4). Questa legge andava a colpire tutte quelle persone che non erano imputabili per aver commesso un reato, come gli omosessuali, ma che erano considerate socialmente pericolose a causa del loro “stile di vita”. 

Lo Stato italiano, approvando la legge 1.423, optò, come il suo predecessore fascista, per una strategia ambigua. Il provvedimento era una sorta di "spada di Damocle" che pendeva sulla testa di molti cittadini italiani. Essi potevano essere ammoniti, messi sotto sorveglianza o “confinati” perché la loro sessualità era ritenuta pericolosa per la società italiana e, soprattutto, per le nuove generazioni.

Il panico anti-omosessuale raggiunse il suo apice alla fine degli anni Cinquanta, quando la chiusura delle “case” nel 1958 spinse medici e politici a sostenere che i giovani, non avendo più accesso alla prostituzione a basso costo, sarebbero stati più inclini ad accettare le avances – e i soldi – degli omosessuali. Tale situazione avrebbe portato a importanti conseguenze, come vedremo, nei primi anni Sessanta quando vennero presentate delle proposte di legge, fortunatamente fallimentari, per la criminalizzazione dell’omosessualità in Italia.

Nell'Italia post-fascista l'omosessualità non era un reato, ma era comunque fortemente stigmatizzata. A differenza di altri paesi, quali ad esempio Svizzera, Paesi Bassi e Francia, gli omosessuali italiani non fondarono organizzazioni e non diedero vita ad iniziative editoriali. La prima organizzazione omosessuale in Italia, come vedremo, fu fondata solo all'inizio degli anni Settanta. 

 

Internazionale Omofila

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il linguaggio dei diritti umani e civili emerse con forza in tutto l’Occidente. Non appena l'Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo nel 1948, minoranze razziali e soggetti colonizzati si appellarono all’ONU affinché essa proteggesse i loro diritti. Nei decenni successivi, innumerevoli gruppi si rivolsero alle istituzioni internazionali per chiedere la piena uguaglianza giuridica e sociale. In particolare, nel corso degli anni Cinquanta, gli omofili europei e nordamericani, appartenenti questi ultimi alla Mattachine Society fondata nel 1950, paragonando la propria situazione a quella degli ebrei nella Germania nazista e a quella degli afroamericani negli Stati Uniti, iniziarono a coordinare le proprie attività attraverso l'organizzazione di reti transnazionali.  

Gli atteggiamenti repressivi contro gli omosessuali erano una conseguenza delle dinamiche politiche nazionali e internazionali. All'inizio degli anni Cinquanta, la battaglia americana contro omosessuali e lesbiche – nota come Lavender Scare – iniziata sotto Truman e intensificatasi negli anni dell'amministrazione Eisenhower, uscì dai confini americani. Funzionari governativi, impegnati a licenziare presunti omosessuali dal Dipartimento di Stato, non solo spingevano le organizzazioni internazionali a fare lo stesso, ma incoraggiavano anche gli alleati degli USA a rimuovere gli omosessuali da funzioni amministrative. Gli alleati che non seguivano gli standard di sicurezza dettati dagli Stati Uniti rischiavano di essere ostracizzati.

Gli USA sostenevano che gli omosessuali fossero pericolosi perché potevano essere facilmente ricattati dai nemici del blocco comunista e rivelare segreti di stato. Le politiche e le procedure anti-omosessuali del Dipartimento di Stato americano finirono per diventare un modello per i membri dell'alleanza NATO.

Gli omosessuali, presi di mira come nemici globali, iniziarono a collaborare al di là dei confini e cercarono di combattere l'omofobia attraverso strategie transnazionali. L’International Committee for Sexual Equality (Comitato Internazionale per l'Uguaglianza Sessuale-ICSE) venne fondato nel 1951 – sotto l'egida dell'organizzazione olandese COC – e venne disciolta nei primi anni Sessanta. Essa organizzò conferenze internazionali, pubblicò periodici multilingue – quali ICSE Kurier e ICSE-PRESS – e cercò di coordinare le organizzazioni omofile del mondo utilizzando il linguaggio dei diritti civili per lottare in nome del pieno riconoscimento dei diritti umani di omosessuali e lesbiche.

Gli omosessuali negli Stati Uniti e in Europa occidentale cercarono di creare un sistema volto a promuovere diritti e facilitare contatti interpersonali. Questi attivisti, uomini e donne, condivisero una vasta gamma di informazioni al fine di superare l'isolamento. Anche l’Italia venne rappresentata in queste iniziative da un instancabile attivista, Bernardino del Boca, una figura centrale nel progetto omofilo degli anni Cinquanta. Egli fu costantemente in contatto con organizzazioni su entrambe le sponde dell’Atlantico nel tentativo, purtroppo fallimentare, di fondare un’organizzazione e una rivista per gli omofili italiani.


 

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Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini
Alessio Ponzio

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Omosessualità e stigmatizzazione in Italia: scandali, leggi e media 

Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini
Alessio Ponzio

Nel 1962 un gruppo milanese – i Peos – incise un brano intitolato Balletti Verdi. Titolo e testo si ispiravano a un recente fatto di cronaca. Nell’ottobre 1960 la stampa italiana aveva dato grande spazio ad un’inchiesta riguardante l’organizzazione nel bresciano di “festini” a sfondo omosessuale dove, secondo i giornalisti, molti minori erano stati indotti alla prostituzione da adulti compiacenti. Nel giro di qualche settimana lo scandalo da locale divenne nazionale. La stampa iniziò a parlare di questa vicenda come lo “scandalo dei balletti verdi”.

La parola “balletto” veniva utilizzata come metafora per indicare la natura sessuale di tale caso, mentre l’aggettivo “verde” veniva impiegato non solo per indicare la giovane età dei ragazzi coinvolti nella vicenda, ma anche per sottolineare la natura omosessuale dello scandalo. Il colore verde, infatti, veniva spesso associato all’omosessualità, richiamo forse a un vezzo di Oscar Wilde, il quale era solito indossare un garofano verde sul bavero della giacca.

Il fatto che lo scandalo fosse scoppiato non in una grande città, bensì in una realtà provinciale, rese la vicenda ancora più accattivante. I “balletti” vennero visti come un chiaro segnale di come l’omosessualità si stesse pericolosamente diffondendo persino in comunità considerate immuni da tali “pratiche”.


 

Asessualità
Redazione

DALL·E 2023-11-29 11.26.40 - An illustrative image showing a diverse group of people gathered in a natural setting, highlighting the theme of asexuality. The scene includes a pers.png

L'asessualità: una sfumatura dell'orientamento sessuale da comprendere e rispettare