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Omosessualità e non conformità di genere nella Germania Nazista e nell’Italia Fascista

Alessio Ponzio

Germania

 

Il Nuovo Reich

L'obiettivo politico-ideologico di Adolf Hitler, nominato cancelliere tedesco nel gennaio del 1933, era la creazione di un nuovo Reich destinato ad unire tutte le popolazioni germaniche d'Europa. Il Führer voleva dare corpo ad una “nuova” Germania capace di incarnare la Volksgemeinschaft, cioè la comunità spirituale del Volk (popolo) tedesco. Tale progetto si sarebbe potuto realizzare solo attraverso l’educazione fisica, ideologica e politica di tutte le persone “ariane.” Per raggiungere tale obiettivo il “popolo eletto” avrebbe dovuto eliminare coloro che non facevano parte del Volk o rischiavano di inquinarne la purezza. Nella Germania di Hitler la regolamentazione della sessualità non era un aspetto secondario del progetto nazista. La riproduzione di individui “razzialmente superiori” era essenziale per ottenere il dominio geopolitico cui il Führer aspirava.

La Germania di Weimar era stato un periodo di sperimentazione politica e socioculturale e l'Institut für Sexualwissenschaft, l’istituto sessuologico di Berlino, era stato un luogo centrale per la ricerca scientifica e la lotta per l’uguaglianza sessuale e di genere. La sua distruzione nel 1933 era stato un segnale più che chiaro della netta rottura dei nazisti con il passato.

Molti degli attivisti, Magnus Hirscheld incluso, che avevano partecipato alle battaglie politiche per la abolizione del Paragrafo 175 (criminalizzazione dell'omosessualità) e del Paragrafo 218 (criminalizzazione dell'aborto) erano ebrei. Tale fatto dipendeva dall’amplia presenza di medici e giuristi tedeschi appartenenti alla comunità ebraica. Tuttavia, il regime sfruttò tale situazione per fini propagandistici e presentò l’attivismo pro-omosessuale e pro-aborto come un complotto messo appunto dagli ebrei per distruggere il Volk.  La battaglia contro i riformatori sessuali venne dunque presentata come una battaglia per la protezione della nazione ariana. 

 

Repressione Selettiva

Il Terzo Reich fu un'impresa di ingegneria riproduttiva che portò avanti una politica di repressione sessuale selettiva. La sessualità di persone ritenute razzialmente inferiori, di persone disabili e di omosessuali doveva essere repressa perchè nociva per il Volk. La sessualità delle persone ariane eterosessuali (e normodotate) veniva forzatamente incoraggiata – con incentivi finanziari ed assistenziali – e protetta – grazie a restrizioni sui contraccettivi e criminalizzazione dell'aborto.

L'obiettivo generale della politica sessuale nazista non era quello di reprimere la sessualità in sé. Il sesso per i nazisti divenne un privilegio ariano ma anche un dovere, una sorta di servizio pubblico che uomini e donne della “razza superiore” dovevano garantire al Reich nazista. Coloro che venivano visti come gli elementi "migliori" della razza avevano il diritto-dovere di riprodursi per assicurare soldati e lavoratori alla Volksgemeinschaft e garantirne l’espansione geografica e demografica.

Se la sessualità di alcune persone era incentivata, la sessualità riproduttiva di altre era ostacolata attraverso sterilizzazione, aborto forzato e, infine, genocidio. Persone ebree, Sinti, Roma, disabili e afro-tedesche (nate dalle relazioni tra donne tedesche e uomini delle truppe coloniali francesi a seguito della Grande Guerra) non dovevano riprodursi e garantire così la scomparsa dell’“altro” dal territorio germanico. 

 

Notte dei Lunghi Coltelli

Il momento di svolta nella politica omofobica del regime nazista ebbe luogo nell’estate del 1934 quando, tra il 30 giugno e il 2 luglio, venne condotta un'operazione nota come “Notte dei lunghi coltelli.” Essa permise ad Hitler di consolidare il suo potere, assassinando collaboratori – ormai percepiti come strategicamente dannosi – e nemici. L'obiettivo principale di tale operazione erano alcune persone a comando della formazione paramilitare nota come Sturmabteilungen (Battaglione d’assalto, SA). Tra le vittime ci fu anche Ernst Röhm – comandante nazionale del Battaglione – amico di Hitler e noto omosessuale.

Per completare l’operazione Hitler si affidò a membri fedeli delle SS, guidate da Heinrich Himmler, omofobo e assetato di potere. Circa 80 persone furono uccise nella prima fase dell’azione, ma alcuni omicidi continuarono anche nelle settimane successive. Diversi membri delle SA erano, così come Röhm, notoriamente omosessuali. Il loro orientamento, potenzialmente dannoso per l’immagine del regime, era una delle ragioni per cui Hitler aveva ordinato il compimento di tale operazione. Essa però dipese anche da motivazioni politico-strategiche quali la volontà di accattivarsi il pieno supporto delle forze armate, che non vedevano di buon occhio la presenza di truppe paramilitari pericolosamente destabilizzanti quali le SA, e la decisione di Hitler di affidare la gestione della sicurezza nazionale ad un’altra formazione, cioè a quelle SS che avevano condotto l’azione omicida contro le Sturmabteilungen.

 

Il Nuovo Paragrafo 175

Nel 1935 i Nazisti resero ancora più dura la legislazione contro gli omosessuali. Essi aggiornarono infatti il Paragrafo 175 e introdussero il Paragrafo 175A. Quest’ultimo prevedeva delle disposizioni speciali contro la “seduzione di minori” e stabiliva che atti omosessuali legati all'abuso di rapporti di dipendenza (insegnante/studente, capo/dipendente, ufficiale/soldato) fossero puniti con particolare durezza. Inoltre, se la legge prevedeva precedentemente la criminalizzazione dei soli rapporti sessuali, a partire dal 1935 il Paragrafo 175 aggiornato considerava punibili tutti gli atti di carattere sessuale e tutti i comportamenti interpretabili come potenziali forme di approccio sessuale. In sostanza, non era più necessario provare che due o più individui avessero avuto un rapporto sessuale per applicare la legge. Il Paragrafo 175 e 175A continuarono a regolamentare la sola omosessualità maschile. 

Nella Germania nazista omosessualità e aborto venivano considerate come due facce della stessa medaglia. Nel 1936 i nazisti istituirono infatti un’unica agenzia destinata alla repressione di entrambi i fenomeni. Il Reichszentrale zur Bekämpfung der Homosexualität und der Abtreibung (Ufficio centrale del Reich per la lotta all'omosessualità e all'aborto) era gestito dalle SS e aveva, tra le altre cose, lo scopo di raccogliere dati relativi a omosessuali, o presunti tali, che cadevano nelle maglie del regime. 

Gli omosessuali erano nemici del Volk non solo perchè venivano percepiti come incarnazione della negazione della virilità nazista, ma anche perché non partecipavano al processo riproduttivo del popolo eletto e lo “infettavano” seducendo le nuove generazioni. Inoltre, i nazisti temevano di essere percepiti come omosessuali a causa dell’intensa omosocialità del regime. La “rilassatezza” sessuale di Röhm e di altri membri delle SA avevano alimentato voci riguardo alla diffusione dell’omosessualità tra molti esponenti del regime che nemmeno la “Notte dei Lunghi Coltelli” era riuscita ad attenuare. L’atteggiamento repressivo contro l’omosessualità fu dunque anche un modo per provare che essa non aveva nulla a che fare con il regime.

 

Persecuzione

Alla fine della Seconda guerra mondiale circa 100.000 uomini risultarono essere stati perseguitati per attività omosessuali nella Germania nazista. Circa 50.000 erano stati condannati, mandati nei campi di concentramento, sottoposti ad esperimenti "medici" e costretti a provare la propria “guarigione” attraverso rapporti sessuali con prostitute. Diverse centinaia subirono forme di castrazione.

Non possiamo dimenticare che anche molte lesbiche, pur non essendo state condannate o mandate nei campi di concentramento per violazione del Paragrafo 175 e del Paragrafo 175A, furono imprigionate in campi Nazisti. Mentre gli omosessuali venivano indicati come tali grazie al triangolo rosa cucito sulle loro uniformi, le lesbiche indossavano come vagabondi, alcolizzati e prostitute, un triangolo nero, simbolo della loro “asocialità”. Esse, come gli omosessuali maschi, erano ritenute nemiche del Volk e pericolose per la società tedesca. Anche molte persone non conformi dal punto di vista del genere furono vittime della furia Nazista. Esse finirono nei campi di concentramento e nelle prigioni per violazione del Paragrafo 175 e 175A o perchè ritenute pericolosamente asociali. 

Non esistono cifre chiare riguardo agli omosessuali morti durante il regime nazista, la stima oscilla tra 5.000 e 10.000. Essi vennero uccisi nei campi di concentramento, morirono in prigioni e istituti psichiatrici o vennero persino usati in missioni suicide dell'esercito tedesco.

Durante la Seconda guerra mondiale la persecuzione delle attività omosessuali si intensificò nei territori occupati dai nazisti come ad esempio Belgio, Polonia, aree ceche e slovacche. L'Austria, sotto il controllo nazista dopo il 1938, mantenne il paragrafo 129 che criminalizzava allo stesso modo l’omosessualità di uomini e donne. Nel 1940 il paragrafo 129 venne modificato per includere anche quanto previsto dal Paragrafo 175A. In Francia, dove l’omosessualità era stata decriminalizzata sin dal 1792, il regime di Vichy – alleato dei Nazisti – rese criminale ogni atto sessuale tra un adulto e un giovane di età inferiore ai 21 anni. Tale limite di età non era previsto in caso di rapporti eterosessuali.  

Dopo la fine della guerra molti omosessuali sopravvissuti ai campi di sterminio vennero imprigionati per violazione del Paragrafo 175 e175A. La Germania Ovest continuò a criminalizzare gli atti omosessuali, in base alle provvisioni legislative naziste del 1935, fino al 1969. La Germania Est applicò invece, fino al 1968, la versione pre-Nazista della legge. Nella Germania unita l’omosessualità venne completamente decriminalizzata ed equiparata all’eterosessualità – garantendo la stessa età del consenso per uomini e donne – nel 1994.

La continuazione della persecuzione anti-omosessuale dopo la fine della Seconda guerra mondiale impedì a molti uomini di raccontare le loro storie e ricordare. Gli omosessuali passarono dalla persecuzione nazista alla persecuzione postbellica. Per molti dimenticare e rimanere in silenzio divenne l’unico modo per sopravvivere.



 

Italia

 

Il Pronatalismo Fascista

Durante il regime fascista (1922-1943) Benito Mussolini si presentò come colui che avrebbe rimodellato la società dalle fondamenta, trasformando italiane ed italiani in veri fascisti. Gli uomini avrebbero dovuto incarnare i valori del marito e padre combattente, mentre le donne avrebbero dovuto essere mogli e madri dei nuovi cittadini-soldato. Il nuovo italiano e la nuova italiana sarebbero stati creati attraverso un piano di pedagogia totalitaria portato avanti, in particolare, attraverso le organizzazioni del regime. Scopo essenziale del progetto fascista era quello di accrescere la popolazione italiana. I fascisti ritenevano infatti che il potere di una nazione dipendesse dai numeri, e Mussolini voleva moltiplicare gli abitanti della penisola. I padri dovevano essere preferiti quando si assumevano nuovi lavoratori, mentre il lavoro femminile e l’emancipazione delle donne dovevano essere combattuti in modo tale che esse si focalizzassero sulla loro missione come madri.

Il regime voleva moltiplicare il numero di matrimoni nel paese e voleva spingere gli uomini a sposarsi in giovane età. Per questo motivo, nel 1927, lo Stato italiano introdusse una tassa sugli scapoli. Gli uomini non sposati tra i 25 e i 65 anni – con pochissime eccezioni (come, ad esempio, invalidi di guerra e sacerdoti cattolici) – erano tenuti a pagarla. Al compimento del 66° anno di età, gli uomini venivano esentati dal pagamento. Alla tassa base, calcolata in fasce di età, si doveva aggiungere un'ulteriore aliquota calcolata in base al reddito.

Il denaro raccolto attraverso il pagamento di questa tassa veniva destinato all'Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI). Questa agenzia statale, istituita dal regime nel 1925 e sciolta nel 1975, aveva l'obiettivo di assistere mamme, bambine e bambini bisognosi, affrontare il problema della mortalità in gravidanza e gestire l'abbandono dei neonati. Il personale dell'organizzazione comprendeva pediatri, ginecologi, ostetrici, psichiatri infantili e specialisti in medicina generale. Questa organizzazione mirava a favorire riproduzione e maternità, lottando contro aborto e contraccezione.

Per convincere le coppie italiane ad avere figli, il regime fascista aveva introdotto aiuti economici e premi speciali destinati alle famiglie prolifiche. Ma il fascismo italiano cercò di ottenere la crescita della popolazione anche attraverso altri sistemi. A partire dal 1926 i contraccettivi vennero vietati nel paese e, a partire dal 1931, il Codice penale previde pesanti pene detentive per favoreggiamento, procura ed esecuzione di pratiche abortive.

Nonostante gli sforzi, la campagna pro-natalismo produsse risultati ben inferiori a quelli sperati. Molte donne, sia quelle che vivevano in campagna sia quelle appartenenti alla classe media urbana, tenevano sotto controllo la propria fertilità attraverso il coito interrotto e gli aborti clandestini. Le italiane mostrarono dunque una certa resistenza a politiche che cercavano di prendere controllo dei loro corpi e delle loro scelte personali.

 

Decriminalizzazione dell’Omosessualità in Italia

Nemici del sistema e dell’“uomo nuovo” voluto dal regime erano, per i fascisti, gli omosessuali. Essi non potevano essere tollerati perchè minavano, presumibilmente, il progetto politico di Mussolini. Il regime fascista sosteneva che gli omosessuali erano pericolosi per le nuove generazioni – poiché le corrompevano, e che essi ostacolavano la crescita demografica italiana – poiché non volevano partecipare al processo riproduttivo. Nonostante tale condanna morale e sociale, l’omosessualità nell’Italia fascista non era ufficialmente criminalizzata.

Le pratiche omosessuali vennero decriminalizzate nel Regno d’Italia alla fine dell’Ottocento. Nel 1791, l’Assemblea costituente francese aveva promulgato un nuovo codice penale che non menzionava più la sodomia tra i comportamenti criminali. Nel 1810, il Codice Napoleonico, convalidando la distinzione tra legge da un lato e religione e morale dall'altro, confermò la decisione presa dai rivoluzionari francesi vent'anni prima. La sessualità apparteneva alla sfera privata. Tale principio venne adottato dai codici degli Stati italiani che all'epoca erano sotto l’egida napoleonica, con l'unica eccezione del Lombardo-Veneto - sotto controllo austriaco - e del Regno di Sardegna - indipendente dalla Francia. Con l’unificazione italiana, il Regno di Sardegna estese le proprie leggi a tutto il territorio nazionale. Tra queste c'era l'articolo 425 del Codice sardo che "infliggeva pene severe a qualsiasi tipo di atto libidinoso innaturale.”    

Tuttavia, nel 1861 una Commissione di Deputati designata per estendere il Codice penale sardo del 1859 all'Italia meridionale - che fino a quel momento era uno stato a sé stante - decise di abolire l'articolo 425 nell'area dell'ex Regno delle Due Sicilie. Qui, infatti, la sodomia non era più reato dal 1819. Questa situazione creava grandi ambiguità: al Nord i rapporti omosessuali tra adulti consenzienti erano puniti, mentre al Sud gli stessi atti erano legali. Il problema dell'incoerenza legislativa tra Nord e Sud venne definitivamente risolto nel 1889, quando il nuovo Codice penale Zanardelli depenalizzò le pratiche omosessuali su tutto il territorio nazionale. La legge non puniva più gli atti libidinosi tra persone dello stesso sesso a meno che essi non implicassero atti osceni in luogo pubblico o fossero accompagnati da violenza. L'omosessualità nell'Italia liberale era un vizio che, se praticato in privato tra adulti consenzienti, non era penalmente rilevante. 

 

Il Nemico dell’“Uomo Nuovo”

Quando, nel 1925, Mussolini decise di rivedere il Codice Zanardelli e introdurre un nuovo Codice penale fascista, si ripropose il problema dello status giuridico dell'omosessualità. Nel 1927, nella prima stesura del nuovo codice, noto in seguito come Codice Rocco dal nome del Ministro di grazia e giustizia (Alfredo Rocco) che principalmente ne curò l'estensione, i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso erano criminalizzati (secondo l'articolo 528). Ma nella versione finale, quella del 1931, l'articolo scomparve. Secondo la commissione che stava revisionando il Codice, non era necessario prevedere una misura per questo reato perché "fortunatamente" in Italia l’“abominevole vizio” non era così diffuso da giustificare un intervento legislativo. I reati quali stupro, corruzione di minore, aggressione, abuso e offesa al pudore commessi da omosessuali sarebbero stati coperti da leggi esistenti, mentre le leggi di pubblica sicurezza del 1926 avrebbero fornito alla polizia poteri sufficienti per controllare le attività degli omosessuali italiani.

Nonostante il silenzio del Codice Rocco, i fascisti potevano ricorrere a una varietà di mezzi repressivi per regolamentare l'omosessualità: 1) il ricovero coatto in manicomio; 2) il confino (l'esilio in piccoli villaggi del Sud Italia o l'internamento in colonie insulari per un periodo rinnovabile da uno a cinque anni); 3) l'ammonizione (la libertà vigilata che imponeva agli individui di rispettare il coprifuoco, di presentarsi ogni mattina alla polizia e di non destare "sospetti"); 4) la diffida (l'avviso che una persona era sotto osservazione). L’amministrazione fascista non aveva bisogno di prove per mandare al confino un individuo. Non c'erano processi e questi uomini non avevano alcuna possibilità di difendersi.

I fascisti italiani volevano che gli omosessuali mantenessero segreta la loro condizione, perciò manicomi, confino, ammonizione e diffida emersero come gli strumenti migliori per punire questi individui evitando una pericolosa e inutile pubblicità. Il regime censurò l’omosessualità in modo occulto, isolando gli omosessuali o minacciandoli. Il "vizio omosessuale" era indicibile e tale doveva rimanere.

I fascisti erano particolarmente interessati a censurare e reprimere effeminatezza e non conformità di genere. Essi punivano l'assenza esteriore di virilità piuttosto che i comportamenti omosessuali in sé. Nell'Italia fascista un uomo effeminato, anche se non necessariamente omosessuale, veniva disprezzato e deriso poiché era il controtipo del “uomo nuovo” fascista. Gli uomini che avevano rapporti omosessuali, senza dare scandalo e suscitare scalpore, avevano una certa possibilità di vivere la propria sessualità senza scontrarsi con la repressione fascista. Ma per gli omosessuali che mostravano comportamenti effeminati c’era una maggiore probabilità che fossero colpiti da provvedimenti quali confino, ammonizione o diffida. 

L'articolo 528, se approvato, avrebbe punito sia gli uomini che le donne che compivano "atti di libidine su persone dello stesso sesso". Ma, alla fine, nell'Italia fascista furono puniti solo gli uomini visibilmente omosessuali. L'Italia, come la Germania nazista, non puniva le lesbiche in quanto tali anche se provvedimenti contro di loro potevano essere presi utilizzando altri strumenti normativi. La sessualità femminile veniva negata e il silenzio mantenuto rispetto ad amore e comportamenti lesbici era un chiaro segnale di tale disconoscimento.

 

La Forza del Silenzio

A differenza della Germania nazista dove di omosessualità si parlava per condannarla, nell'Italia fascista di omosessualità non si discuteva. Per i fascisti il migliore modo per combattere l'omosessualità era il silenzio. Parlare di omosessualità avrebbe causato la circolazione di discorsi che potevano stimolare la curiosità e rendere il “vizio” pericolosamente visibile.

Sin dal gennaio 1926 Mussolini aveva sostenuto che la nazione sarebbe stata riformata anche attraverso una moralizzazione della stampa e una severa censura contro "vizio" e "perversione". I fascisti smantellarono la cronaca nera, sostenendo che il sensazionalismo ostacolava l’emergere di un'immagine positiva del nuovo stato italiano. Il regime indicò dunque tutti i reati che non potevano essere pubblicizzati dai media. Questo elenco comprendeva crimini contro la moralità pubblica e la decenza, nonché crimini contro la famiglia, l'integrità e la salute della stirpe. I giornali non potevano riportare eventi scabrosi e non potevano parlare di “pederastia”, infanticidio o "vizi" legati alla sfera sessuale. La stampa non poteva menzionare né tragici atti passionali né notizie raccapriccianti. Anche le pubblicità dovevano seguire le stesse regole. Medicine o cure per l'impotenza e altre disfunzioni sessuali non potevano avere spazio nei media italiani. Si puntò ad evitare, per quanto possibile, rappresentazioni omosessuali e criminali nei romanzi, mentre "vizi" e "perversioni" potevano essere trattati solo se ambientati in altri paesi o in terre lontane ed "esotiche".

I fascisti censurarono anche enciclopedie e riviste dedicate allo studio della sessualità. Aldo Mieli, storico della scienza e socialista, si era interessato di sessualità e sessuologia sin dai primi anni Venti. Nel 1921 aveva infatti fondato la “Società italiana per lo studio delle questioni sessuali” e un giornale, la Rassegna di Studi Sessuali (uscito fino al 1932) che pubblicava articoli dedicati a sesso e sessualità, inclusi alcuni lavori di Magnus Hirschfeld. Nel corso degli anni la rivista cambiò denominazione a causa delle pressioni del regime. Nel 1924 il periodico divenne Rassegna di studi sessuali e di eugenica e nel 1927 venne ribattezzata come Rassegna di studi sessuali, demografia ed eugenica. Mieli cercò di incoraggiare un dibattito pubblico sulle questioni sessuali e presentò l'omosessualità come un comportamento naturale e non come una patologia. Nel 1925 pubblicò per la “Biblioteca dei curiosi” un libretto completamente dedicato all’Amore omosessuale. Dato il suo attivismo nell’ambito sessuologico, il suo orientamento sessuale e le sue posizioni politiche, Mieli si vide costretto a lasciare il paese nel 1928. 

L'Italia fascista cercò di dettare regole ben precise riguardo a ruoli di genere e sessualità. Il regime condusse la propria battaglia demografica criminalizzando contraccettivi, aborto e relazioni interrazziali, e lottando contro pornografia e omosessualità. I fascisti sostennero in ogni modo la sessualità maschile, soprattutto quella riproduttiva, ma favorirono anche l’accesso ai corpi femminili attraverso la regolamentazione della prostituzione. La sessualità era per il Fascismo uno strumento politico essenziale per garantire ed incrementare il potere dello stato. Tuttavia, nonostante la repressione, molti resistettero contro i progetti del regime e ci furono uomini e donne, omosessuali ed eterosessuali, che riuscirono a trovare degli spazi dove vivere secondo i propri desideri, sentimenti ed emozioni.

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Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini
Alessio Ponzio

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Omosessualità e stigmatizzazione in Italia: scandali, leggi e media 

Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini
Alessio Ponzio

Nel 1962 un gruppo milanese – i Peos – incise un brano intitolato Balletti Verdi. Titolo e testo si ispiravano a un recente fatto di cronaca. Nell’ottobre 1960 la stampa italiana aveva dato grande spazio ad un’inchiesta riguardante l’organizzazione nel bresciano di “festini” a sfondo omosessuale dove, secondo i giornalisti, molti minori erano stati indotti alla prostituzione da adulti compiacenti. Nel giro di qualche settimana lo scandalo da locale divenne nazionale. La stampa iniziò a parlare di questa vicenda come lo “scandalo dei balletti verdi”.

La parola “balletto” veniva utilizzata come metafora per indicare la natura sessuale di tale caso, mentre l’aggettivo “verde” veniva impiegato non solo per indicare la giovane età dei ragazzi coinvolti nella vicenda, ma anche per sottolineare la natura omosessuale dello scandalo. Il colore verde, infatti, veniva spesso associato all’omosessualità, richiamo forse a un vezzo di Oscar Wilde, il quale era solito indossare un garofano verde sul bavero della giacca.

Il fatto che lo scandalo fosse scoppiato non in una grande città, bensì in una realtà provinciale, rese la vicenda ancora più accattivante. I “balletti” vennero visti come un chiaro segnale di come l’omosessualità si stesse pericolosamente diffondendo persino in comunità considerate immuni da tali “pratiche”.


 

Asessualità
Redazione

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L'asessualità: una sfumatura dell'orientamento sessuale da comprendere e rispettare