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Gli anni Ottanta

Alessio Ponzio

Il 1980 del FUORI

Il FUORI inaugurò il nuovo decennio con un congresso, tenutosi a Bologna dal 26 al 27 gennaio. Durante tale incontro, intitolato La politica del FUORI negli anni ’80, si ribadiva come il Fronte volesse puntare a migliorare il proprio rapporto con le istituzioni politiche e favorire una maggiore imprenditorialità gay. Inoltre, durante l’incontro divenne evidente come il FUORI puntasse soprattutto a garantire ai propri membri sedi funzionali, spazi atti a favorire socialità e svago, e facile accesso a consulenze medico-legali.

Nel corso del congresso di Bologna venne anche discussa la questione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il FUORI, considerando il matrimonio un’istituzione patriarcale, propendeva all’epoca per il riconoscimento delle convivenze. Tale posizione sarebbe stata confermata alcuni mesi dopo nel corso del VII Congresso del FUORI a Torino (3-5 ottobre). 

Il 21 luglio 1980 Enzo Francone, attivista del PR e del FUORI, cercò di inscenare a Mosca, nel corso delle Olimpiadi, una protesta contro le politiche omofobiche e lesbofobiche implementate dal regime sovietico. Tuttavia, giunto presso la Piazza Rossa, Francone venne arrestato, interrogato ed espulso. 

Sempre nel 1980, precisamente il 25 agosto, venne costituita su iniziativa del FUORI, la prima istituzione culturale gay italiana: la Fondazione Sandro Penna.

 

Giarre come Catalizzatore

Il 31 Ottobre 1980, nella cittadina di Giarre (Catania), i cadaveri di due giovani amanti – Giorgio Agatino Giammona e Antonio Galatola – vennero rinvenuti mano nella mano presso la Vigna del Principe, all’ombra di un pino marittimo.

Quello che si rivelò essere un duplice omicidio causò un’ondata di forte sdegno. Il 2 novembre, Marco Pannella parlò del delitto di Giarre durante il congresso del Partito Radicale e Angelo Pezzana decise di andare in Sicilia immediatamente assieme ad Enzo Francone e Bruno Di Donato, responsabile del FUORI romano, per portare il sostengo del Fronte e dei radicali.

Il 4 novembre il Partito Radicale organizzò una conferenza stampa a Catania dedicata al caso di Giarre, mentre il 6 novembre si tenne nella cittadina dei due giovani uccisi un incontro con popolazione e autorità locali nella sala conferenze della biblioteca comunale. C’erano giornalisti, studenti, curiosi, disturbatori e anche diversi militanti del FUORI di Palermo. Ad attirare l’attenzione dei giornalisti fu soprattutto la presenza del neosegretario del Partito Radicale Francesco Rutelli, sceso in volo da Roma per testimoniare la propria solidarietà.

Si parlò del delitto a Radio Universal Giarre ma, soprattutto, la vicenda venne discussa anche in una puntata del TG3 settimanale intitolata Quando l’emarginazione uccide.

Un mese dopo lo scoppio del “caso Giarre” venne fondato a Palermo, il 9 dicembre 1980, il primo collettivo omosessuale legato all’Arci. Di lì a poco esso sarebbe divenuto il primo circolo Arcigay d’Italia. La nascita del gruppo, anche se stimolata dall’omicidio dei due giovani, non ne fu una conseguenza immediata. Già da tempo, infatti, omosessuali non radicali e alcuni militanti del FUORI palermitano stavano pensando alla creazione di una realtà organizzativa che portasse avanti le rivendicazioni omosessuali da sinistra. L’Arcigay palermitana venne tenuta a battesimo, tra gli altri, dal prete sospeso a divinis Marco Bisceglia, dirigente Arci. Per la prima volta, con tale iniziativa, il braccio culturale della sinistra storica, porgeva la mano agli omosessuali offrendo loro il sostengo della propria rete.

 

Da Agrigento al Pantheon

La Sicilia avrebbe svolto un ruolo centrale anche nello sviluppo del movimento lesbico italiano. 

Sin dalla seconda metà degli anni Settanta gruppi lesbici autonomi si erano sviluppati in tutto il paese, mantenendo una chiara indipendenza dall’associazionismo gay e gestendo delle relazioni tutt’altro che semplici con i gruppi femministi. Nel giugno 1981, in occasione di un incontro nazionale di diversi collettivi e associazioni lesbiche presso la Casa delle Donne in via del Governo Vecchio a Roma, si fissarono le date per l’organizzazione di un convegno sul lesbismo da tenere sempre nella capitale dal 26 al 28 dicembre. Ma le lesbiche italiane sarebbero tornate a Roma qualche settimana prima del previsto.

Il 13 ottobre i giornali italiani iniziarono infatti a parlare dell’arresto di due donne. Esse erano state accusate di atti osceni in luogo pubblico per essersi baciate in un parco di Agrigento. In risposta a tale arresto venne organizzata presso il Pantheon a Roma – il 22 ottobre – una manifestazione in loro difesa, l’unica fino a quel momento realizzata in Italia per istanze specificatamente lesbiche. 

Già prima della manifestazione, nel corso dello stesso anno, era stato fondato a Roma il CLI (Collegamento Lesbiche Italiane) che cominciò anche a pubblicare un bollettino – La Bollettina – per diffondere le notizie su eventi, cultura e politica lesbica.

Il 1981 fu dunque un anno di grande importanza per il lesbismo separatista, ma in Italia già esistevano librerie e case editrici per donne, e spazi autogestiti. Inoltre, già da tempo venivano tradotti e messi in circolazione testi dedicati al lesbismo radicale e si organizzavano seminari e convegni.

 

I Frocialisti alla Ricerca di una Sede

In occasione delle “Giornate dell’orgoglio omosessuale”, convocate a Bologna dal 27 al 29 giugno 1980, una delegazione del “Collettivo Frocialista” venne ricevuta dal sindaco comunista Renato Zangheri. Egli si impegnò a garantire 1) giornali e libri omosessuali nelle biblioteche comunali, 2) la presenza di pubbliche bacheche dedicate agli omosessuali in cinque punti strategici della città (divenute poi note come le “bachecche”) e 3) l’assegnazione di una sede autogestita.

Una volta ricevuta la promessa di una sede il gruppo presentò una regolare domanda per l’assegnazione dell’immobile. In tale occasione il Collettivo decise di cambiare nome divenendo il “Circolo Culturale XXVIII Giugno”. Una volta presentata la domanda, gli attivisti iniziarono a contattare funzionari e assessori affinché la loro richiesta fosse accolta. Volevano dare vita ad un centro che offrisse servizi e divertimento alla comunità e che garantisse agli omosessuali bolognesi una “casa”.

Dopo mesi di trattative venne individuata una sede nel bastione medievale di Porta Saragozza. La richiesta di assegnazione, approdata alla commissione del comune nel novembre 1981, venne approvata. Quattro mesi dopo però, quando la proposta di assegnazione passò all’esame della giunta comunale, la DC si oppose.

Il fatto che porta Saragozza e il Cassero fossero dedicati alla Madonna di San Luca e fossero un passaggio obbligato nell’annuale processione in onore della vergine, rendeva l’assegnazione di quella sede agli omosessuali bolognesi, a parere dei democristiani, inaccettabile.

Quando il comune propose al circolo un’altra sede, gli omosessuali si opposero. Alla fine, la loro resistenza e il sostegno dell’amministrazione bolognese produssero il risultato desiderato. Il 24 giugno 1982, i rappresentanti del “Circolo Culturale XXVIII Giugno” vennero convocati per firmare un contratto di affitto, giusto in tempo per celebrare il pride e prendere possesso della nuova sede il 26 giugno al termine di un corteo per le vie del centro.

 

Un Passaggio di Consegne

Dopo aver ospitato con successo il terzo congresso IGA presso Torre Pellice nell’aprile 1981, il FUORI iniziò a sentire la necessità di tirare le somme della sua attività e capire cosa fare per favorire la sua crescita – o garantire almeno la sua esistenza.

Nel frattempo, il gruppo Arcigay di Palermo, presentando il caso di Giarre come esempio di odio e stigma contro cui combattere, riuscì ad organizzare il 28 giugno 1981 la prima Festa dell’orgoglio omosessuale in Sicilia. Organizzato assieme al FUORI di Palermo, l’evento assunse rilevanza nazionale grazie alle adesioni di Arci, Democrazia Proletaria, PCI, PdUP, PR, PSI, FGCI, FGSI, CGIL, Lambda, e Collettivo Narciso. Arci e diverse amministrazioni “rosse” in altre città italiane sostennero i festeggiamenti. Una tale apertura del PCI era davvero una novità.  

Pochi mesi dopo il Pride siciliano, il FUORI organizzò quello che sarebbe stato il suo ultimo congresso presso Vico Equense dal 22 al 24 gennaio 1982. Lo scopo di tale iniziativa era decidere il futuro del Fronte. Venne lanciato un ultimo appello per capire se ci fosse la volontà di salvare l’unica organizzazione nazionale allora esistente. Se non si fossero raggiunte 1.000 nuove iscrizioni entro nove mesi, il FUORI avrebbe chiuso i battenti. L’obiettivo non venne raggiunto e il FUORI nazionale optò per lo scioglimento divenendo un’associazione torinese. I gruppi di Milano e Roma decisero di confluire in altre realtà organizzative già esistenti. Molte associazioni su tutto il territorio nazionale continuarono ad utilizzare la sigla FUORI dopo il 1982, ma sempre meno e senza che esistesse un effettivo collegamento nazionale.

Nel marzo 1982 ebbe luogo a Palermo il primo congresso Arcigay nazionale. In tale occasione iniziò a prendere corpo l’idea di una nuova associazione estesa su tutto il territorio italiano. Mentre il FUORI nazionale “moriva”, iniziava a stagliarsi all’orizzonte una nuova opportunità.

 

CUOR e Babilonia

Un mese dopo il congresso di Palermo, nella notte del 23 aprile 1982 Salvatore Pappalardo, un operaio trentaseienne originario della Sicilia ma residente a Torino, venne ucciso durante una visita nella capitale. Recatosi presso i giardini di Montecaprino, un noto luogo di ritrovo per gli omosessuali romani, Pappalardo venne brutalmente aggredito da un gruppo di ignoti.

La comunità gay romana fu scossa terribilmente da tale omicidio e decise di organizzare un’iniziativa per dire no a questo tipo di violenza. Il Collettivo Narciso, il FUORI romano, Arcigay ed altre associazioni decisero di unire le proprie forze e convocare una manifestazione nazionale contro violenza e omofobia. Prendeva così corpo il “Movimento unitario omosessuale romano” (MUOR) poi ribattezzato, più felicemente, “Coordinamento unitario omosessuale romano” (CUOR).

Il corteo previsto per il 15 maggio venne eccezionalmente autorizzato dalla questura. Le adesioni furono tantissime ma in piazza erano presenti solo qualche centinaio di persone. Il corteo passò per le vie del centro e culminò a Montecaprino. Il giorno dopo il sindaco del PCI Ugo Vetere incontrò alcuni rappresentanti del CUOR che, seguendo l’esempio bolognese, fecero tutta una serie di richieste all’amministrazione romana. Una di queste includeva l’assegnazione di una sede per la creazione di un centro di cultura omosessuale nella capitale. La promessa del sindaco non venne mantenuta immediatamente. Solo nel 1986 gli omosessuali romani riuscirono a prendere possesso di una sede per le loro attività presso via Ostiense.

Nel 1982 prendeva corpo a Milano il progetto di un nuovo mensile nazionale. Esso doveva prendere il posto di Lambda e cercare di conquistare un pubblico ampio in modo da evitare problemi finanziari e fallimenti. A lanciare l’iniziativa furono l’instancabile Felix Cossolo e Ivan Teobaldelli. Il numero zero della nuova rivista, Babilonia, uscì nell’estate del 1982 e venne presentato al quarto International gay camp organizzato da Cossolo e Teobaldelli presso il camping “Spiaggia Lunga” di Vieste a fine agosto. Esso era destinato ad essere l’ultimo campeggio prima dell’“arrivo” dell’HIV in Italia.

 

1983: Dalla Morte di Mieli ai Primi Casi di AIDS

Il 12 marzo 1983 si suicidò una delle figure più importanti della storia del movimento LGBT italiano, Mario Mieli. Poco dopo la sua morte il “Coordinamento Omosessuali Romani” decise di cambiare per l’ennesima volta il proprio nome ribattezzandosi “Circolo Culturale Mario Mieli”.

Pochi giorni dopo la morte di Mieli, Marco Bisceglia, a quel punto responsabile nazionale Arcigay, iniziò a muovere dei passi sempre più concreti per capire come dare vita a un’organizzazione omosessuale nazionale robusta e stabile.

Per esplorare tale possibilità furono promossi due incontri nazionali al Cassero. Il primo, tenutosi dal 26 al 27 marzo 1983, fu di natura esplorativa. Più importante fu il secondo incontro, dal 7 all’8 maggio 1983, in cui il dibattito si focalizzò sulla possibilità di fare di Arcigay una casa comune del movimento. All’incontro, cui parteciparono i rappresentanti di 17 realtà organizzative, venne raggiunto un primo accordo. Il centro di coordinamento nazionale dell’Arcigay avrebbe avuto come quartier generale il Cassero di Bologna, che comunque avrebbe mantenuto la propria indipendenza associativa. Beppe Ramina e Franco Grillini del Cassero decisero di sostenere l’iniziativa convinti della necessità di dare maggiore stabilità a un sistema associativo costituito da troppi collettivi che non garantivano continuità alcuna.

Nell’estate del 1983 la psicosi dell’AIDS (Acquired immunodeficiency syndrome) si consolidò nel paese a causa dei primi casi registrati a Roma e Milano. Inizialmente gli omosessuali italiani avevano mostrato una certa titubanza rispetto alle notizie che venivano da oltreoceano. Tuttavia, dopo la partecipazione nel luglio 1982 di alcuni attivisti del FUORI ad un congresso organizzato a Washington – in occasione del quale il termine AIDS prese definitivamente il posto del fino ad allora utilizzato GRID (Gay Related Immune Deficiency) – il movimento gay capì la gravità del problema. Il FUORI fu la prima organizzazione a produrre un documento relativo alla sindrome di immunodeficienza acquisita distribuito all’inizio del 1983. Per il Fronte di Torino la lotta all’AIDS sarebbe divenuta da allora in poi una priorità e tale sarebbe rimasta fino allo scioglimento dell’organizzazione nella prima metà degli anni Novanta. 

Nel luglio 1983 il circolo Mario Mieli assicurò la propria collaborazione all’Istituto Superiore di Sanità per una prima indagine sulla diffusione dell’AIDS tra i gay. Altri gruppi italiani, come ad esempio il Cassero, avrebbero fatto altrettanto stabilendo rapporti di collaborazione con equipe mediche locali.  

 

L’Arcigay Nazionale Diventa realtà

A seguito dei due incontri di Bologna del marzo e del maggio 1983, Bisceglia lanciò l’idea di stampare un bollettino mensile e tentò di favorire la fondazione di nuovi circoli territoriali che, nel 1984, sarebbero divenuti 14. Tuttavia, associazioni quali Cassero, Mieli di Roma e FUORI di Torino mantennero la propria indipendenza da Arcigay.

Nel convegno di Ariccia del 9 e 10 giugno 1984 si diede effettivamente corpo all’Arcigay nazionale. Il confronto più duro fu tra il Mieli di Roma che, ideologicamente vicino al movimentismo dei collettivi, non voleva irrigidirsi all’interno di una struttura organizzativa nazionale, e il Cassero che, alla fine, decise di aderire alla rete nazionale divenendone l’elemento propulsore. L’8 novembre 1984, a seguito di un incontro con il coordinamento Arcigay, la presidenza nazionale Arci dava il via libera al progetto. Il 2 e 3 marzo dell’anno seguente si svolse un incontro a Bologna che diede definitivamente corpo all’Arcigay. Alla presenza di tutte le anime del movimento, incluso il Mieli ed escluso il FUORI, si votò un programma politico comune e si elessero Ramina e Grillini a segretario nazionale e presidente. Bisceglia divenne presidente onorario dell’organizzazione.

Il programma di Arcigay nazionale venne definito in un secondo incontro, tenutosi sempre a Bologna, dal 14 al 15 dicembre 1985. Si stabilì di rilanciare la battaglia per l’acquisizione di diritti concreti e si puntò alla richiesta di leggi antidiscriminatorie e di una legge che garantisse la legalizzazione delle convivenze. L’obiettivo era incidere sul sociale intervenendo su scuola e mondo del lavoro. Inoltre, si volevano rafforzare i rapporti con i partiti e puntare ad una collaborazione stabile con le istituzioni. Nel programma veniva dato spazio anche alla questione AIDS. Per Arcigay era prioritario combattere fobie e ignoranza, offrire informazioni utili per la lotta al contagio, garantire l’assistenza a persone sieropositive e convincere le autorità sanitarie ad intervenire.

 

Iniziative dell’Arcigay nei primi anni della sua fondazione

Arcigay voleva anche puntare a favorire la crescita della cultura omosessuale in Italia. A tal fine un ruolo essenziale doveva essere svolto dal “Centro di Documentazione del Cassero”, un’istituzione culturale che si andava ad affiancare alla già esistente Fondazione Sandro Penna.

La Fondazione legata al FUORI aveva dato vita nel 1984 a una rivista di cultura omosessuale piuttosto prestigiosa Sodoma, che pubblicò cinque numeri dal 1984 al 1993. L’Arcigay cominciò invece a pubblicare dal 1986 i Quaderni di critica omosessuale del Cassero che sarebbero usciti, in 10 numeri, fino al 1994.

Grillini, segretario nazionale di Arcigay dal 1985 e presidente dal 1987, voleva puntare alla creazione di un’immagine pubblica affidabile. Arcigay, che era assurta in qualche modo a portavoce nazionale degli omosessuali italiani, doveva essere positivamente visibile e lottare contro ogni forma di pregiudizio antiomosessuale.

Uno dei primi impegni politici di Arcigay fu la partecipazione di alcuni dei suoi attivisti alle elezioni amministrative del maggio 1985. Se fino a quel momento gli omosessuali si erano presentati solo nelle fila del Partito Radicale, da queste elezioni in poi iniziarono ad essere presenti anche come candidati nei partiti della sinistra. A Milano venne eletto Paolo Hutter, il primo consigliere omosessuale in una grande città, mentre Pezzana venne eletto con il PR al consiglio regionale piemontese.

Arcigay ebbe anche l’onore e l’onere di organizzare il campeggio gay estivo di Rocca Imperiale (Cosenza) dal 19 al 29 agosto 1985. Questo campeggio fu particolarmente impegnativo a causa dell’opposizione della popolazione alla presenza degli omosessuali. Anche se i casi di AIDS segnalati in Italia erano limitati, nel paese era presente un innegabile panico generato dai mass media. In tale situazione in sindaco democristiano di Rocca Imperiale ordinò la chiusura del campeggio. Gli organizzatori, guidati da Grillini, denunciarono il fatto e il Ministero degli interni, intervenendo direttamente nella vicenda, fece revocare l’ordinanza. Il campeggio ebbe dunque luogo ma sotto lo sguardo delle forze dell’ordine. Arcigay ottenne il sostegno diretto di due sindaci di paesi confinanti – Scanzano Ionico e Rotondella – che promossero l’organizzazione di assemblee popolari per stemperare il clima riguardo ai timori degli abitanti della zona. Il 3 settembre 1985 Giovanni Negri del Partito Radicale, Bruno di Donato e Angelo Pezzana incontrarono il Ministro della Sanità Costante Degan per presentare delle proposte per la lotta all’AIDS concertate dal PR e dal FUORI. 

Anche se gli omosessuali erano, per numero di casi, secondi ai tossicodipendenti, ciò non impedì che timori, fobie e stigma prendessero il sopravvento. I sieropositivi venivano erroneamente indicati come “malati” mentre gli omosessuali erano impegnati a educare, informare e propagandare la necessità del sesso sicuro. La crisi ebbe un ruolo importante nel rinsaldare i legami all’interno della realtà omosessuale italiana. Organizzazioni omosessuali distribuivano adesivi ed opuscoli, Babilonia pubblicava dossier e, dal novembre 1985, lanciò la rubrica Noi e l’AIDS. Sempre nel mese di novembre venne organizzata da Arcigay, presso il teatro Ciak di Milano, una raccolta fondi per ricerca e sostegno alle persone HIV positive. 

Mentre da una parte i media montavano lo spettro dell’HIV, gli omosessuali italiani tornarono a parlare di diritti per le coppie omosessuali stabili. Il 20 giugno 1986 Arcigay nazionale e il gruppo della Sinistra indipendente organizzò alla Camera un convegno dal titolo “Omosessuali e stato”. In tale occasione Grillini chiedeva che alle coppie omosessuali e ai conviventi gay venissero riconosciuti gli stessi diritti garantiti alle coppie eterosessuali. A livello teorico la discussione politica era dunque avviata. Nel corso degli anni Ottanta furono anche fatti dei tentativi concreti per presentare dei progetti di legge, ma spesso l’opposizione della Chiesa bloccò tutto sul nascere.

La Chiesa prese a metà degli anni Ottanta una sempre più chiara posizione di condanna nei confronti dell’omosessualità. Il 30 ottobre 1986 la Congregazione per la dottrina della fede rese pubblico un documento completamente dedicato alla questione omosessuale. La lettera ai vescovi, intitolata Sulla cura pastorale delle persone omosessuali, indicava l’omosessualità come immorale e definiva gli omosessuali come individui intrinsecamente disordinati i cui atti dovevano essere condannati.

 

L’Abbandono delle Istituzioni Centrali

Nella seconda metà degli anni Ottanta gli omosessuali dovevano gestire la psicosi AIDS contro cui si battevano gruppi gay, pochi medici e alcune organizzazioni di volontariato. In questo contesto nacquero delle reti nazionali dedicate alla lotta contro l’HIV: l’ANLAIDS (Associazione nazionale per la lotta all’AIDS) e la LILA (Lega Italiana Lotta all’AIDS). Quest’ultima, fondata anche con la partecipazione degli stessi omosessuali, fu presentata ufficialmente a Roma il 16 dicembre 1986 durante una conferenza stampa cui parteciparono Arcigay, Associazione Solidarietà AIDS (ASA) di Milano, “Mario Mieli”, comitato prostitute di Pordenone “Le lucciole”, l’associazione detenuti di Rebibbia “Albatros” ed esponenti di forze politiche della sinistra. Lo scopo della lega era diffondere la cultura della prevenzione evitando allarmismi e lottando contro campagne di strumentalizzazione moralistica. Il dialogo/confronto tra i vari gruppi sarebbe continuato fino al 1990 quando nacque il FORUM AIDS Italia, un organo di coordinamento che avrebbe riunito tutte le realtà associative – tra cui ASA, Gruppo Solidarietà AIDS Torino e “Mario Mieli” di Roma – che non facevo parte di LILA, ANLAIDS e Arcigay.

L’emergenza sanitaria fece sì che in molti casi gli omosessuali venissero riconosciuti come gli interlocutori principali dalle amministrazioni locali. Nel 1987 ASA ottenne dei finanziamenti pubblici, mentre la città di Bologna stampò un opuscolo – presto imitata da altre realtà locali – per parlare di prevenzione. Il governo centrale invece si astenne da ogni iniziativa di aiuto. Il Ministero della Sanità, sotto la guida di Carlo Donat Cattin, portò avanti una campagna secondo cui pubblicizzare l’uso di profilattici e di siringhe pulite non serviva a prevenire l’AIDS ma a raccomandare “stili di vita” censurabili. Il ministro trovava un alleato nell’integralismo cattolico che suggeriva il rapporto eterosessuale monogamico e la castità come gli unici antidoti al contagio.

Nel giugno del 1987, alcuni omosessuali tentarono nuovamente la via elettorale per potersi inserire direttamente nelle istituzioni e cercare di apportare dei cambiamenti al sistema politico-legislativo. Diversi candidati omosessuali erano presenti in molte liste della sinistra di opposizione. Niki Vendola e Franco Grillini di Arcigay si presentarono rispettivamente a Roma e Bologna nelle liste del PCI, Giampaolo Silvestri e il direttore di Babilonia Ivan Teobaldelli si presentarono con i Verdi a Brescia-Bergamo e Milano. Per il Partito Radicale si presentarono Enzo Cucco, Carlo Sismondi e la fondatrice del Movimento italiano transessuali Pina Bonanno. Vendola e Grillini ottennero migliaia di preferenze ma non riuscirono ad essere eletti.

 

Cultura Gay a metà degli anni Ottanta

Nel giugno 1986 Ottavio Mai e Giovanni Minerba organizzarono a Torino la prima edizione della rassegna cinematografica “Da Sodoma a Hollywood” – poi divenuta festival – con patrocinio e finanziamento dell’assessorato alla cultura del comune. Non era la prima rassegna di questo tipo ma, diversamente da altre, essa era destinata a durare e diventare un’istituzione. Sempre a Torino, nel 1987, nasceva Informagay, un centralino telefonico di supporto e ascolto, che sarebbe stato ufficialmente inaugurato nel febbraio 1988.

Nel 1987 a Milano venivano lanciati due importanti progetti. Su iniziativa di Felix Cossolo, apriva i battenti Babele, la prima libreria italiana interamente dedicata alla cultura gay e lesbica. Inoltre, il comune concesse un immobile in affitto al Centro Iniziativa Gay e all’ASA. Il CIG lanciò dunque l’idea di creare un terzo centro di documentazione a livello nazionale che si sarebbe affiancato al Centro del Cassero e al “Sandro Penna”.

Nonostante le iniziative culturali e la partecipazione alle elezioni politiche, stigma e intolleranza non scomparivano. Un’inchiesta condotta su italiani e pregiudizio da Demoskopea e Intermatrix e pubblicata nel dicembre 1987 rivelava che nella scala delle antipatie suscitate dai “diversi” gli omosessuali erano al primo posto, mentre risultavano essere “simpatici” solo al 4% degli interpellati.

 

Arcigay tra Ministero della Difesa e Ministero della Sanità

Fino al 1986, anno in cui venne abrogato, era rimasto in vigore l’articolo 28/a del Decreto del Presidente della Repubblica numero 496 del 1964. Esso esonerava dal servizio militare “personalità abnormi e psicopatiche.” Tra queste “personalità” erano inclusi acconto a “impulsivi, insicuri, astenici, abulici, depressivi, labili di umore” anche gli “invertiti sessuali.”

Gli articoli che escludevano gli omosessuali dalla leva erano sempre stati osteggiati da alcune organizzazioni del movimento poiché implicavano una chiara discriminazione e una violazione dell’art. 3 della Costituzione. Tuttavia, erano anche presenti individui che non volevano fare il servizio militare. Arcigay, per dare una mano a tali persone, aveva iniziato a produrre a partire dal 1987 dei certificati, non vincolanti, che attestavano l’omosessualità dei richiedenti. Nel settembre 1988, grazie alla sua politica di dialogo con le istituzioni, Arcigay ottenne la prerogativa di rilasciare dei certificati ai propri iscritti per attestare la loro omosessualità ed ottenere così l’esonero dal servizio militare.

Nell’estate del 1988 Arcigay organizzò il nono e ultimo campeggio gay estivo presso Capitello. La diffusione dell’AIDS aveva certamente influenzato i modi in cui gli omosessuali italiani volevano trascorrere il proprio tempo libero. A partire dalla seconda metà del 1988 c’era stato un certo aumento nel numero dei casi registrati dalle autorità sanitarie e il Ministero aveva dato il via ad una campagna di informazione in cui si sosteneva l’importanza del preservativo. In quell’anno Arcigay riuscì persino ad ottenne un finanziamento di diversi milioni di lire per organizzare iniziative rivolte alla popolazione omosessuale. Tuttavia, il Ministro della Sanità mostrò un atteggiamento alquanto diverso. In una lettera inviata a tutti gli italiani il 1° dicembre 1988 – giornata mondiale per la lotta all’AIDS – Donat Cattin invitava, in sostanza, a non credere a quanto sostenuto dalla campagna del suo stesso ministero. Il preservativo, secondo il Ministro, non era sicuro e si suggeriva come miglior metodo per evitare il contagio l’astensione dal sesso.

All’inizio del 1989, a seguito di un rimpasto governativo, Francesco de Lorenzo, medico e presidente ANLAIDS, divenne Ministro della Sanità. Questo significava un cambio di atteggiamento rispetto al dicastero precedente. Nel settembre dello stesso anno il Ministro convocò infatti una delegazione composta da rappresentanti Arcigay e FUORI per parlare di lotta all’HIV. L’incontro non fu privo di tensioni. L’Arcigay, in quanto organizzazione nazionale, considerava la gestione dell’AIDS come una sua prerogativa e come parte centrale della lotta per i diritti gay. L’organizzazione voleva puntare a favorire informazione, prevenzione e lotta alle discriminazioni anche attraverso la creazione di gruppi di autoaiuto. Nel giugno 1990 sarebbe stata varata una legge sull’AIDS (legge n.135) destinata, in particolare, ad affrontare l’emergenza assistenziale.

 

Nuovi tentativi alle urne

Nel 1989 venne rinnovato il parlamento europeo e si tennero le elezioni comunali a Roma. Nel maggio 1990 ebbero invece luogo le elezioni amministrative in tutta Italia.

Le elezioni europee, anche se non videro l’elezione di omosessuali, furono caratterizzate dalla prima campagna su scala continentale di gay e lesbiche. Giunsero comunque a Strasburgo esponenti della sinistra ben disposti rispetto ai diritti delle persone omosessuali.

Alle elezioni romane dell’ottobre 1989 erano presenti quattro gay nelle liste elettorali: Vanni Piccolo – presidente del “Mieli” – nelle liste PCI; Dario Bellezza e Doriano Galli con Democrazia Proletaria; Luigi Cerina con i radicali. Cerina fu l’unico ad entrare in consiglio comunale grazie alla rinuncia dei primi due della lista del PR: Marco Pannella e Marco Taradash.

La situazione andò meglio alle elezioni amministrative del maggio 1990. Rappresentanti di Arcigay furono eletti ai consigli comunali di Milano (Paolo Hutter), Bologna (Beppe Ramina) e Empoli (Flavio Arditi), al consiglio provinciale di Bologna (Franco Grillini) e in comitati di quartiere. In un quartiere bolognese venne anche eletta come consigliera Marcella Di Folco, presidentessa del MIT. A Torino furono eletti tra i radicali Angelo Pezzana (Consiglio comunale) ed Enzo Cucco (Consiglio regionale).

 

Arcigay Donna

Gli anni Ottanta furono un periodo di grande crescita per le lesbiche italiane. Essenziale per tale sviluppo fu la separazione dagli omosessuali che spesso avevano mostrato insufficiente attenzione alle istanze sollevate dal movimento lesbico.

La diffidenza nei confronti dei gay non impedì però la collaborazione nel momento in cui l’epidemia di AIDS costrinse alla messa in campo di tutte le energie disponibili per fronteggiare il virus. Tale esperienza avrebbe modificato i rapporti esistenti e avrebbe portato alla riformulazione di nuovi obiettivi comuni nell’ambito dei diritti civili.

Nei tardi anni Ottanta, accanto al movimentismo lesbico e lesbofemminista, prese corpo una nuova realtà femminile all’interno di Arcigay: Arcigay Donna.

Al momento della fondazione di Arcigay, molte lesbiche avevano iniziato ad avvicinarsi all’associazione, soprattutto in quelle località dove essa era l’unica realtà organizzativa esistente. Tuttavia, nel corso degli anni, divenne sempre più evidente la necessità di avere degli spazi dove fosse possibile discutere della dimensione lesbica autonomamente da quella gay.

Il progetto Arcigay Donna, fondato nel 1989, sarebbe cresciuto nel corso degli anni Novanta e nel 1996 l’organizzazione, denominata allora Arcilesbica, avrebbe proclamato la propria piena autonomia da Arcigay.

 

Monumento a Bologna

Nel 1989 vennero resi pubblici i risultati di un’inchiesta condotta in Italia per valutare l’atteggiamento degli eterosessuali verso gli omosessuali e degli omosessuali – uomini e donne – verso gay e lesbiche. I risultati mostravano progressi. Il numero di coloro che consideravano l’omosessualità una malattia era sceso dal 46% di una ricerca ISPES del 1983 al 10.5%. I dati emersi dall’inchiesta condotta all’interno della popolazione omosessuale e lesbica sembravano invece presentare un’immagine tutt’altro che confortante rispetto, in particolar modo, all’autopercezione.

Un importante evento a conclusione degli anni Ottanta fu la proposta di Arcigay fatta al comune di Bologna per la realizzazione di un monumento in memoria degli omosessuali vittime del Nazifascismo. Il monumento, inaugurato il 25 aprile 1990, fu il primo in Italia e il secondo in Europa dopo quello realizzato ad Amsterdam nel 1987.

Arcigay ebbe un ruolo importante nella storia del movimento italiano poiché tentò di attuare i propri progetti politici attraverso la collaborazione con istituzioni locali e nazionali. Contestualmente, continuarono ad esistere e fare politica anche gruppi più propriamente movimentisti e contestatari che rifiutavano logiche istituzionali. Le lotte tra rivoluzionari e riformisti, che avevano animato la vita del FUORI sin dagli anni Settanta, sarebbero in sostanza continuate nel corso degli anni Ottanta. E, a partire dagli anni Novanta, avrebbero dato corpo all’animato confronto, tutt’ora in corso, tra l’LGBT “mainstream” e il queer.

Il confronto tra volontà di istituzionalizzare e rifiuto della strutturazione verticale ha polarizzato dunque, e continua a polarizzare, lo spazio dell’attivismo italiano e non solo. Ma, come evidenzia anche lo studioso Massimo Prearo nel libro La fabbrica dell’orgoglio (2015), la forza del movimento italiano sta proprio in questa tensione che, creando mobilitazione, ha spinto – e continua a spingere – alla produzione di cambiamento sociale, di trasformazione culturale e di critica politica.

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Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini
Alessio Ponzio

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Omosessualità e stigmatizzazione in Italia: scandali, leggi e media 

Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini
Alessio Ponzio

Nel 1962 un gruppo milanese – i Peos – incise un brano intitolato Balletti Verdi. Titolo e testo si ispiravano a un recente fatto di cronaca. Nell’ottobre 1960 la stampa italiana aveva dato grande spazio ad un’inchiesta riguardante l’organizzazione nel bresciano di “festini” a sfondo omosessuale dove, secondo i giornalisti, molti minori erano stati indotti alla prostituzione da adulti compiacenti. Nel giro di qualche settimana lo scandalo da locale divenne nazionale. La stampa iniziò a parlare di questa vicenda come lo “scandalo dei balletti verdi”.

La parola “balletto” veniva utilizzata come metafora per indicare la natura sessuale di tale caso, mentre l’aggettivo “verde” veniva impiegato non solo per indicare la giovane età dei ragazzi coinvolti nella vicenda, ma anche per sottolineare la natura omosessuale dello scandalo. Il colore verde, infatti, veniva spesso associato all’omosessualità, richiamo forse a un vezzo di Oscar Wilde, il quale era solito indossare un garofano verde sul bavero della giacca.

Il fatto che lo scandalo fosse scoppiato non in una grande città, bensì in una realtà provinciale, rese la vicenda ancora più accattivante. I “balletti” vennero visti come un chiaro segnale di come l’omosessualità si stesse pericolosamente diffondendo persino in comunità considerate immuni da tali “pratiche”.


 

Asessualità
Redazione

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L'asessualità: una sfumatura dell'orientamento sessuale da comprendere e rispettare