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IL MIT

Alessio Ponzio

La Stampa del Secondo Guerra

Dopo anni di censura negli anni del fascismo, le riviste italiane scoprirono il piacere del “proibito”. Nell’immediato secondo dopoguerra la non conformità sessuale e di genere divenne argomento di discussione in molti periodici desiderosi di incrementare le proprie vendite.

I giornali non distinguevano chiaramente gli “omosessuali” dai “travestiti”. Tuttavia, in alcuni casi, a partire dai tardi anni Cinquanta, si iniziò a parlare di non-conformità di genere come distinta dalla non-conformità sessuale. Ad esempio, trattando il caso di Rola Casciotti – che si era auto-evirata nel 1954 e aveva iniziato la richiesta per la rettifica dei propri documenti nel 1958 – la maggior parte dei giornali non parlò di Rola come un omosessuale, ma come una persona “travestita”.

Questo non ci deve comunque illudere, la confusione tra omosessuale, “travestito” e “transessuale” persistette a livello giornalistico – e sociale – ancora per lungo tempo. 

 

Anni Sessanta

Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta le riviste italiane parlavano assiduamente di alcune star dello spettacolo en travesti del Carrousel de Paris spesso in tour nel nostro paese: Coccinelle, Kiki Moustique e Bambi. Queste persone venivano descritte sulle pagine dei giornali come “uomini-donna”, “anfibi”, “capovolti” ecc. Tuttavia, è possibile riscontrare un certo interesse sessuale nei confronti di queste star parigine. Molti giornali le presentavano infatti come delle pin-up tentatrici.

Tra la fine del 1960 e l’inizio del 1961 la rivista Le Ore iniziò a pubblicare la biografia a puntate di Coccinelle. Tuttavia, inaspettatamente e senza fornire alcuna spiegazione a lettrici e lettori, alla sesta puntata la narrazione si fermò. Probabilmente una conseguenza della tempesta mediatica creata dal famoso scandalo omosessuale dei “Balletti Verdi” di Brescia.

I giornali italiani diedero nuovamente grande spazio a Coccinelle in occasione del suo matrimonio con Francois Bonnet nel 1962, ma dedicarono grande spazio alla vedette francese anche quando, dopo la rapida fine del suo matrimonio con Bonnet, iniziò una nuova relazione con il ballerino sudamericano Mario Heyns.

Lo spazio dato a Coccinelle dalla stampa italiana non deve fuorviarci. Il sarcasmo nei suoi confronti e nei confronti dei suoi compagni era un chiaro segnale dell’intolleranza verso le persone ritenute non conformi dal punto di vista del genere e della sessualità. Alcuni giornali furono particolarmente duri con Coccinelle definendola una “pseudo-donna”, un “maschio mutilato e imbottito di ormoni” e un “crimine contro natura.” Questi articoli erano un segnale più che chiaro dell’astio nei confronti di persone giudicate “non conformi” che caratterizzava in modo sempre più prepotente i media italiani nel corso degli anni Sessanta e Settanta.

Un unicum nel suo genere fu la pubblicazione nel 1965 del numero 5 de Il Delatore intitolato I Travestiti. In questo volumetto vennero pubblicati articoli, disegni e fotografie in cui si cercava di raccontare il passato e il presente delle persone trans-genere evitando toni acrimoniosi. 

A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, ricorrendo alla legge 1.423 del 27 dicembre 1956 – Misure di prevenzione nei confronti delle persone ritenute pericolose per la sicurezza e la moralità pubblica, lo stato italiano attuò tutta una serie di provvedimenti atti a reprimere omosessualità e non conformità di genere. Particolarmente noto in tale senso è il caso di Romina Cecconi che nel 1969, in base a tale legge, venne mandata al confino in una cittadina del sud d’Italia perché considerata persona moralmente e socialmente pericolosa. 

 

Anni Settanta

All’inizio del 1970, con la sentenza n. 39 della Corte Costituzionale, venne dichiarato illegittimo l’articolo 85 del testo unico delle leggi di PS che permetteva l'arresto in flagranza di persone che si presentavano "mascherate" in pubblico. A seguito della sentenza la polizia poteva ancora adottare multe contro queste persone, ma era illegittimo il loro arrestato, a meno che non avessero commesso altri reati. Nello stesso anno uscì, con la casa editrice M.E.B. di Torino per la collana La confusione dei sessi, il libro autobiografico di Roberta Franciolini (indicata con il suo nome maschile in copertina) intitolato Io, un travestito-Sconvolgente confessione di un uomo/donna. L’autrice del volume, che precedette di qualche anno la biografia di Romina Cecconi Io, la “Romanina”. Perchè sono diventato donna (1976), sarebbe divenuta da lì a qualche anno un’importante attivista del movimento transessuale.

Nel 1972, pochi mesi dopo la manifestazione di Sanremo organizzata dal FUORI, la RAI trasmise una puntata di AZ: un fatto come e perché dedicata alla prostituzione maschile. In realtà questa trasmissione era incentrata, in gran parte, sulla prostituzione trans-genere di Torino. Guardando oggi questa puntata del programma RAI possiamo avere una visione piuttosto chiara di quanto fosse negativo l’atteggiamento dei media nei confronti di queste persone.

All’interno di un panorama mediatico tutt’altro che confortante si staglia come particolarmente significativo il lavoro fotografico di Lisetta Carmi. Nel 1972, l’artista pubblicò un importante libro – I travestiti – in cui si dava spazio a diverse persone trans-genere fotografate a Genova tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70. La forza delle foto di Carmi sta nella loro carica affettiva e nella loro assenza di giudizio. Il libro includeva anche alcune testimonianze scritte dagli stessi “travestiti”. In 4 pagine alcune delle persone protagoniste delle foto parlavano di sé stesse. Queste pagine erano un collage, un flusso di coscienza collettivo che dava forma all'affettività che univa le persone appartenenti a questa comunità. Queste confessioni, seppur brevi, ci permettono di capire la complessità delle identità, dei desideri e delle speranze di queste persone.

Nel corso dei primi anni Settanta alcune persone trans-genere, come ad esempio Monica Galdino Giansanti, facevano parte del FUORI. Giansanti, dopo aver scritto una lettera alla rivista (pubblicata nel numero 4 dell’ottobre 1972), era entrata a far parte del collettivo redazionale a partire dal 1973. Accesa sostenitrice del Fronte e convinta che le persone “travestite” dovessero sostenere l’organizzazione, gestì per alcuni numeri del FUORI! una rubrica che trattava di travestitismo e non conformità di genere.

Sulle pagine di Homo, Elio Modugno, fondatore dell’AIRDO, mostrò invece un atteggiamento piuttosto diverso nei confronti dei “travestiti”. Queste persone venivano descritte come malate e, soprattutto, come “nemiche” dell’omosessualità. Per amare un individuo dello stesso sesso, era necessario che entrambi i partner mantenessero le proprie caratteristiche sessuali. Senza tale condizione, l'omosessualità veniva “annullata.” Per questo motivo, il “travestitismo” veniva visto da AIRDO come anti-omosessuale e come dannoso per l’immagine degli omosessuali tutti.

A metà degli anni Settanta, mentre le persone trans-genere continuavano ad essere spesso oggetto di odio e violenza, sorse a Torino il “Collettivo Travestiti Radicali.” Come riportato dal n. 16 del FUORI! del 1976, questo collettivo era costituito da un gruppo di “travestiti” che si erano “stufati” di essere “perseguitati” dalle forze dell’ordine. Il collettivo invitava a partecipare alle riunioni nella sede del Partito Radicale torinese. La loro prima azione politica era stata la compilazione di un Manuale di Autodifesa del Travestito in cui si davano informazioni su come difendersi dalle aggressioni della polizia e su come agire in caso di arresto, perquisizione e processo. Una delle fondatrici di questo gruppo fu proprio Roberta Franciolini che, in seguito, assieme ad altre persone trans avrebbe dato vita al Movimento Italiano Transessuali.

 

La legge 164

Nell'estate del 1979, la Corte Costituzionale italiana era stata chiamata a pronunciarsi su tre articoli del Codice Civile. Essi prevedevano che i registri di stato civile potessero essere rettificati nel caso in cui l'ufficiale amministrativo avesse commesso un errore nell’attribuzione del genere alla nascita. Fino a quel momento, questi articoli erano stati utilizzati dalle persone trans-genere per chiedere la modifica del proprio stato civile dichiarando un presunto errore di trascrizione al momento della nascita.

La Corte stabilì, con sentenza n. 98 del 26 luglio 1979, che questi articoli non potevano essere utilizzati per chiedere una rettifica dello stato civile a seguito di interventi chirurgici di affermazione di genere. La Corte rivelò che esisteva un vuoto legislativo e invitò il Parlamento a risolvere il problema. In attesa di una soluzione però, la decisione della Corte creò un ostacolo insormontabile per le persone trans-genere che desideravano chiedere la rettifica del proprio nome e stato civile.

La legge per garantire la modifica dello stato civile delle persone trans-genere prese avvio grazie all’iniziativa di due militanti del FUORI Enzo Cucco ed Enzo Francone. Nell’ottobre del 1979, essi scrissero un progetto di legge in risposta alla sentenza della Corte costituzionale del luglio precedente. Cucco e Francone presero subito contatto col gruppo parlamentare radicale per discutere assieme i passi successivi. Inizialmente il referente fu Mauro Mellini, ma a lui subentrò Franco De Cataldo. Cucco e Francone avevano proposto un progetto di legge piuttosto articolato ma De Cataldo si oppose. Una legge ampia avrebbe probabilmente trovato l’opposizione di molti, bisognava dunque intervenire sul Codice civile e fare in modo che il cambio anagrafico avvenisse per sentenza del giudice. La proposta di De Cataldo, incentrata sulla sostituzione dell’articolo 454 del Codice civile, fu presentata in Parlamento il 27 febbraio 1980.

In un incontro tra l’attivista transessuale Pina Bonanno e De Cataldo, il deputato invitò le persone trans-genere a fare la propria parte. Dovevano organizzarsi, far sentire la propria voce affinché la legge venisse discussa e approvata. Tornata a Milano, Pina Bonanno iniziò ad organizzare incontri e discussioni. Il progetto fu subito condiviso da Paola Astuni, Roberta Franciolini, che era a Torino, e Gianna Parenti di Firenze. Poi, in un secondo momento, si sarebbe aggiunta Roberta Ferranti di Roma. In una riunione organizzata nella capitale venne costituito il MIT – Movimento Italiano Transessuali. Il MIT, con presidente Pina Bonanno, iniziò a creare gruppi su tutto il territorio nazionale. Il movimento, sotto la guida del Partito Radicale, mirava ad ottenere il riconoscimento giuridico della transizione, e lottava per chiedere il rispetto dei diritti e della dignità delle persone trans.

Una delle prime azioni di protesta organizzate dalle persone transessuali in Italia avvenne a Milano. Come spiega Elia A.G. Arfini in un articolo dedicato a tale iniziativa pubblicato in Transgender Studies Quarterly, anche se molte fonti indicano il 1979 come anno della manifestazione, il Corriere della Sera riporta la notizia nel suo numero del 5 luglio 1980. La protesta, organizzata presso la piscina comunale di Piazzale Lotto e guidata da Pina Bonanno, voleva mostrare la contraddizione tra identità di genere e stato civile delle persone trans in Italia. A tal fine le attiviste presenti, che indossavano un bikini, si tolsero improvvisamente il reggiseno. Secondo la legge italiana queste donne erano degli uomini; quindi, rimanere in slip non avrebbe dovuto provocare lo scompiglio che seguì. Con questa azione si vollero sfidare non solo l’opinione pubblica ma soprattutto le autorità statali che, da un lato, non volevano riconoscere l’identità femminile delle persone trans-genere ma, dall’altro, trattavano queste persone come donne nel momento in cui esponevano il loro petto nudo. Questa iniziativa attirò l'attenzione dei media nazionali e incoraggiò ulteriormente le persone trans a lottare per i propri diritti.

Un’altra importante azione del MIT ebbe luogo il 23 ottobre 1980 presso Villa Reale a Palermo. Pina Bonanno, in tailleur nero, e la radicale Simona Viola, vestita di bianco, si presentarono davanti all’assessore Roberto Savasta per chiedere di essere unite in matrimonio. I documenti erano in regola: Pina Bonanno era per lo stato italiano un uomo e Simona Viola una donna. Quando venne fatta la domanda di rito, Bonanno rispose che quella era un’azione di protesta contro lo Stato italiano che non le permetteva di sposare, come donna, l’uomo che amava.

Una settimana dopo, il MIT organizzò la sua prima manifestazione nazionale a Roma per sollecitare l'immediata discussione del disegno di legge presentato da De Cataldo. Il corteo, partito dalla sede romana del Partito Radicale in piazza di Torre Argentina, si fermò presso Piazza Montecitorio. Bonanno e una delegazione del MIT riuscirono ad incontrare alcuni deputati del Psi, Pci e Pli, e, soprattutto, la presidente della Camera Nilde Iotti. Il 18 novembre, alcune rappresentati del MIT parteciparono anche a una seduta del Parlamento europeo insieme ai Radicali.

Nel gennaio 1981 si svolse a Milano, con il sostegno del Partito Radicale, il Primo Congresso Nazionale Transessuale. Esso vide la partecipazione di tutti i principali gruppi transessuali di Milano, Firenze, Torino, Milano, Bologna, Genova e Roma, con l'intento di riunire transessuali, lesbiche, omosessuali ed eterosessuali in una società libera e non violenta. Tra gli obiettivi dichiarati del congresso c'era quello di liberare la transessualità dall'esclusiva visione dei mass media e dell'establishment medico e promuovere una maggiore consapevolezza delle prospettive transessuali tra il pubblico al fine di facilitare l'ottenimento di più ampi diritti per le persone trans. In linea con questo scopo, nel giugno 1981 Pina Bonanno e Paola Astuni avrebbero presentato il loro libro intitolato Donna come donna. Storie di amori e lotte dei transessuali italiani. 

Tra marzo e novembre 1981, vennero organizzate altre manifestazioni nazionali. Nel marzo 1981 il MIT organizzò una manifestazione davanti a Montecitorio per sollecitare una data precisa per la discussione della proposta di legge presentata da De Cataldo. Tuttavia, non essendoci chiari progressi, a settembre e ottobre le donne trans tornarono a Roma per manifestare nuovamente. Dopo essere stata approvata in Commissione Giustizia nell’Ottobre 1981, la legge passò al Senato dove rischiava di arenarsi. Nel novembre 1981, il MIT organizzò dunque un sit-in davanti a Palazzo Madama, con l'intenzione di rimanere fino all'approvazione della legge. La polizia caricò le manifestanti, ferendo tre persone e arrestandone molte altre.

Nel gennaio 1982, il Movimento Italiano Transessuale organizzò un secondo Congresso nazionale a Milano. Esso venne presentato come un'occasione per riflettere sulle lotte degli ultimi tre anni, ma anche come un'opportunità per immaginare le prospettive future del movimento. Al Congresso intervennero Francesco Rutelli (vicesegretario del PR), Giglia Tedesco (senatrice del PCI), Adele Faccio (PR) e Angelo Pezzana.

Il testo della legge De Cataldo, modificato in base ad alcune richieste mosse da alcuni senatori DC, venne approvato dalla Commissione Giustizia del Senato il 16 febbraio 1982. Il sì definitivo ed unanime della Commissione Giustizia della Camera, dopo il rinvio a Montecitorio, ebbe luogo il 1° aprile. Anche l’approvazione in terza lettura era stata preceduta da colloqui con parlamentari e da manifestazioni del MIT davanti a Montecitorio e in varie città italiane.

Il 14 aprile 1982, dopo due anni di proteste e dibattiti, veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 164: “Norme in materia di rettificazione dell'attribuzione di sesso”. La legge permetteva alle persone transessuali di procedere alla rettifica anagrafica a seguito di intervento chirurgico. Anche se imperfetta e frutto di un compromesso tra varie forze politiche, la legge rappresentò un importante successo nella battaglia per i diritti civili, nonché un punto di svolta nella storia del diritto e della morale in Italia. Essa fu un passo pionieristico: la seconda legge di questo tipo in Europa occidentale dopo quella approvata nel 1980 dalla Germania federale.

 

Successivi Interventi Interpretativi

La legge 164 prevedeva che, per ottenere il cambio anagrafico, fossero necessari l'accertamento psicologico della disforia di genere, il compimento di un percorso di terapia ormonale sostitutiva, e un intervento di affermazione di genere atto a modificare i caratteri sessuali – senza specificare però se si facesse riferimento a caratteri sessuali primari o secondari.

Per anni i tribunali italiani interpretarono questa legge in modo rigido, non riconoscendo rettifiche a coloro che non volevano sottoporsi a interventi di asportazione delle gonadi e di ricostruzione degli organi genitali. Il MIT, così come tante altre associazioni trans* italiane, aspiravano a un definitivo superamento della medicalizzazione chirurgica dell’identità trans*. Volevano porre fine alla loro sterilizzazione forzata.

Nel 2015 l’Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford fece ricorso alla Corte di Cassazione riguardo alla necessità di sterilizzazione chirurgica al fine di ottenere il cambio anagrafico in base alla legge 164. La Corte stabilì che l’intervento chirurgico non era necessario per cambiare genere e nome nell’atto di nascita.

Nel novembre dello stesso anno, con la sentenza numero 221, la Corte Costituzionale confermò tale decisione. Venne dunque concessa la possibilità di rettificare i documenti anche a coloro che non avevano affrontato un intervento chirurgico di affermazione di genere. Secondo la Corte l’intervento non era una necessità. Esso era solo un mezzo per garantire, possibilmente, il benessere psicofisico della persona. Tuttavia, l’accertamento che l’identità di genere della persona trans* fosse definitiva doveva passare sempre e comunque attraverso un accertamento giudiziale.

Le sentenze del 2015 furono importanti passi in avanti, ma diversi rappresentanti dell’attivismo LGBTQ+ italiano continuano a lottare per garantire l'autodeterminazione delle persone trans* senza l'intervento di giudici che possano negare arbitrariamente il diritto all'autoidentificazione.

Molte e molti attivisti trans* vorrebbero dunque l'introduzione di una legge, simile a quella vigente al momento in Spagna, che permetta alle persone di dichiarare la loro identità di genere senza dover dipendere dalle aule di tribunale.

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Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini
Alessio Ponzio

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Omosessualità e stigmatizzazione in Italia: scandali, leggi e media 

Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini
Alessio Ponzio

Nel 1962 un gruppo milanese – i Peos – incise un brano intitolato Balletti Verdi. Titolo e testo si ispiravano a un recente fatto di cronaca. Nell’ottobre 1960 la stampa italiana aveva dato grande spazio ad un’inchiesta riguardante l’organizzazione nel bresciano di “festini” a sfondo omosessuale dove, secondo i giornalisti, molti minori erano stati indotti alla prostituzione da adulti compiacenti. Nel giro di qualche settimana lo scandalo da locale divenne nazionale. La stampa iniziò a parlare di questa vicenda come lo “scandalo dei balletti verdi”.

La parola “balletto” veniva utilizzata come metafora per indicare la natura sessuale di tale caso, mentre l’aggettivo “verde” veniva impiegato non solo per indicare la giovane età dei ragazzi coinvolti nella vicenda, ma anche per sottolineare la natura omosessuale dello scandalo. Il colore verde, infatti, veniva spesso associato all’omosessualità, richiamo forse a un vezzo di Oscar Wilde, il quale era solito indossare un garofano verde sul bavero della giacca.

Il fatto che lo scandalo fosse scoppiato non in una grande città, bensì in una realtà provinciale, rese la vicenda ancora più accattivante. I “balletti” vennero visti come un chiaro segnale di come l’omosessualità si stesse pericolosamente diffondendo persino in comunità considerate immuni da tali “pratiche”.


 

Asessualità
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DALL·E 2023-11-29 11.26.40 - An illustrative image showing a diverse group of people gathered in a natural setting, highlighting the theme of asexuality. The scene includes a pers.png

L'asessualità: una sfumatura dell'orientamento sessuale da comprendere e rispettare