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DE&I e la rappresentazione nei media

Redazione

Così come il linguaggio definisce e descrive la realtà, anche le immagini hanno una profonda capacità di rappresentare il mondo circostante, non solo descrivendolo, ma anche determinandolo.

Fino al 1983 alcuni Codici di Condotta per le emittenti televisive proibivano indirettamente la personificazione dell’omosessualità e le prime raffigurazioni erano caratterizzate da violenza, pedofilia, devianze e incapacità di integrazione sociale, fornendo uno scenario descrittivo particolarmente negativo che ha profondamente compromesso l’immaginario collettivo, come la misrepresentation (rappresentazione falsa o inesatta).

La corretta rappresentazione della realtà LGBT+ permette di avere la possibilità di riconoscersi, affrancarsi dal concetto di minoranza e di ribaltare la percezione stereotipata degli ultimi decenni, lasciando spazio a quello dell’espressione dell’individualità della singola persona, oltre che dell’esercitazione dei diritti delle minoranze. La trasposizione su schermo, ma anche su altri scenari in presenza e online, le tematiche e le identità LGBT+ stanno diventando sempre più parte del discorso pubblico, inserendosi in un’attività sociale importante che determina le relazioni interpersonali, oltre che di accettazione della propria identità. E, non ultimo, educa le persone a liberarsi dalla stereotipizzazione e dai luoghi comuni i quali continuano a danneggiare la formazione delle personalità delle persone appartenenti a queste comunità, esponendole anche a rischi psicologici ed emotivi.

Fortunatamente, a pari passo con l’evoluzione culturale e sociale, la comunità LGBT+ ha visto un processo di trasformazione nella rappresentazione della propria realtà, soprattutto grazie ad un punto di vista soggettivo e decisamente più accurato e attento.

La rappresentazione nei film e nelle serie TV

La rappresentazione cinematografica LGBT+ agli inizi del ‘900 è descritta principalmente attraverso gag studiate per canzonare e deridere la minoranza in cui i protagonisti erano fortemente caricaturali, creando in questo modo gli stereotipi più difficili da sradicare, nonostante ci fu qualche eccezione, come alcuni film che offrirono numerosi spunti di riflessione sulle sessualità alternative. Non aiutò alla corretta divulgazione della realtà e delle identità LGBT+ il Codice Hays che prevedeva il divieto di inserimento esplicito di elementi come nudo, droghe, alcool, sesso, delitti, ma anche scene realistiche del parto, le relazioni interculturali e l’omosessualità, fino alla fine degli anni ’50 in cui il Codice venne definitivamente abbandonato (1968), con conseguente diffusione di lungometraggi con differenti contenuti e valori diversi.

Grazie alla rivoluzione sessuale, alla rivoluzione dei costumi in tutto il mondo occidentale e all’avvento della televisione, nei decenni successivi, molte censure vennero meno confermando una maggiore libertà di produzione di film a tema LGBT+ e sulla tematiche relative alla diffusione dell’HIV, grazie anche all’esposizione mediatica cui si sottoposero personaggi celebri del mondo della musica e dello spettacolo.

Successivamente, negli anni ‘80/90, la sensibilizzazione aumenta contestualmente all’attenzione verso personaggi queer e al mondo del drag, nonostante le persone omosessuali, transessuali o presunte tali fossero viste, in alcuni contesti, come potenzialmente ricattabili subendo l’allontanamento da posizioni di rilievo ed escluse dalla vita sociale.

Gli anni ’90 e i primi anni del 2000, sono decenni in cui gradualmente agenzie di produzioni cinematografiche e televisive, le case di progettazione di videogiochi e anche le case editrici di fumetti diventano sempre più inclusive inserendo personaggi omosessuali, transgender o creature dal genere indefinito nelle sceneggiature delle storie e in vari contesti narrativi.

Nell’ultimo decennio i contenuti inclusivi si spostano sulle piattaforme di streaming che dedicano alla rappresentazione LGBT+ una buona fetta della produzione che dimostra la necessità di raccontare storie LGBT+ attraverso una narrazione più diversificata, meno escludente e svestita dall’eccessiva enfasi caricaturale, per descrivere al meglio e più fedelmente possibile la nostra società.

V. report di GLAAD del 2021/2022

Stesso fenomeno sta accadendo nella pubblicità e negli spot che, attraverso messaggi inclusivi non solo relativi alla questione di genere o dell’orientamento sessuale, portano alla normalizzazione del concetto di persona LGBT+ e rispettosa della sua inclusione e delle sue istanze. Questa risposta nasce dall’esigenza di porre attenzione alle necessità della comunità LGBT+, a tutti gli effetti un target commerciale, ma anche dalla consapevolezza di dover assumere il ruolo e la responsabilità del cambiamento culturale e sociale.


 

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Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini
Alessio Ponzio

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Omosessualità e stigmatizzazione in Italia: scandali, leggi e media 

Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini
Alessio Ponzio

Nel 1962 un gruppo milanese – i Peos – incise un brano intitolato Balletti Verdi. Titolo e testo si ispiravano a un recente fatto di cronaca. Nell’ottobre 1960 la stampa italiana aveva dato grande spazio ad un’inchiesta riguardante l’organizzazione nel bresciano di “festini” a sfondo omosessuale dove, secondo i giornalisti, molti minori erano stati indotti alla prostituzione da adulti compiacenti. Nel giro di qualche settimana lo scandalo da locale divenne nazionale. La stampa iniziò a parlare di questa vicenda come lo “scandalo dei balletti verdi”.

La parola “balletto” veniva utilizzata come metafora per indicare la natura sessuale di tale caso, mentre l’aggettivo “verde” veniva impiegato non solo per indicare la giovane età dei ragazzi coinvolti nella vicenda, ma anche per sottolineare la natura omosessuale dello scandalo. Il colore verde, infatti, veniva spesso associato all’omosessualità, richiamo forse a un vezzo di Oscar Wilde, il quale era solito indossare un garofano verde sul bavero della giacca.

Il fatto che lo scandalo fosse scoppiato non in una grande città, bensì in una realtà provinciale, rese la vicenda ancora più accattivante. I “balletti” vennero visti come un chiaro segnale di come l’omosessualità si stesse pericolosamente diffondendo persino in comunità considerate immuni da tali “pratiche”.


 

Asessualità
Redazione

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