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Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini

Alessio Ponzio

Nel 1962 un gruppo milanese – i Peos – incise un brano intitolato Balletti Verdi. Titolo e testo si ispiravano a un recente fatto di cronaca. Nell’ottobre 1960 la stampa italiana aveva dato grande spazio ad un’inchiesta riguardante l’organizzazione nel bresciano di “festini” a sfondo omosessuale dove, secondo i giornalisti, molti minori erano stati indotti alla prostituzione da adulti compiacenti. Nel giro di qualche settimana lo scandalo da locale divenne nazionale. La stampa iniziò a parlare di questa vicenda come lo “scandalo dei balletti verdi”.

La parola “balletto” veniva utilizzata come metafora per indicare la natura sessuale di tale caso, mentre l’aggettivo “verde” veniva impiegato non solo per indicare la giovane età dei ragazzi coinvolti nella vicenda, ma anche per sottolineare la natura omosessuale dello scandalo. Il colore verde, infatti, veniva spesso associato all’omosessualità, richiamo forse a un vezzo di Oscar Wilde, il quale era solito indossare un garofano verde sul bavero della giacca.

Il fatto che lo scandalo fosse scoppiato non in una grande città, bensì in una realtà provinciale, rese la vicenda ancora più accattivante. I “balletti” vennero visti come un chiaro segnale di come l’omosessualità si stesse pericolosamente diffondendo persino in comunità considerate immuni da tali “pratiche”.

 

Legge Merlin

Lo scoppio dello scandalo deve essere messo in relazione anche all’approvazione della legge Merlin. Essa, finalizzata all’abolizione delle case di tolleranza e alla criminalizzazione dello sfruttamento della prostituzione, scatenò timori e ansie. Approvata il 29 gennaio 1958 dopo un iter lungo e accidentato, la legge entrò in vigore il 20 settembre dello stesso anno. I detrattori della legge preannunciarono una crisi senza precedenti dei costumi morali degli italiani e prospettarono una crescita vertiginosa del numero degli omosessuali. I giovani italiani, secondo il ragionamento degli oppositori alla legge Merlin, non avendo più accesso a corpi femminili a prezzi modici, avrebbero cercato sesso con altri uomini disposti a pagarli per le loro prestazioni. 

Nel luglio 1959 alcuni deputati dell’Movimento Sociale Italiano (MSI), guidati da Giuseppe Gonella e Clemente Manco, presentarono una proposta di modifica e integrazione della Merlin. Nell’introdurre il loro progetto di legge i parlamentari sottolinearono come tra le conseguenze scaturite dalla chiusura delle case di tolleranza si dovessero evidenziare l’aumento delle “meretrici” nelle strade, degli episodi di pubblico scandalo, dei “lenoni”, della criminalità sessuale, delle malattie sessualmente trasmissibili e dell’omosessualità. Tuttavia, nel giustificare la loro richiesta di emendamenti alla legge n. 75 del 1958, i parlamentari missini utilizzarono prevalentemente delle argomentazioni di carattere sanitario. Le spinte neoregolamentiste – a favore del mantenimento delle case di tolleranza – e le politiche anti-omosessuali erano comunque interconnesse e l’MSI stava preparando un attacco frontale contro l’omosessualità. 

 

Legge Missina, Media e Scandali

Nel gennaio 1960 l’MSI presentò una proposta di legge atta ad introdurre un nuovo articolo, il n. 527A, per integrare il già esistente articolo 527 del Codice penale relativo agli atti osceni. L’articolo proposto, e mai discusso dal Parlamento, prevedeva che chiunque avesse rapporti sessuali con una persona dello stesso sesso fosse punito con reclusione (da sei mesi a due anni) e con multa (da 10.000 a 100.000 lire). Inoltre, l’art. 527A prevedeva un aggravamento della pena se dal fatto fosse derivato scandalo. Infine, se i rapporti sessuali fossero avvenuti con uno o più minorenni, la pena sarebbe aumentata nei confronti del maggiorenne – o maggiorenni – coinvolti. Nonostante la sua schematicità, questo articolo, finalizzato a reprimere atti sessuali compiuti sia in pubblico che in privato, se mai approvato, avrebbe potuto scatenare una vera e propria “caccia alle streghe” contro omosessuali e lesbiche. 

Tra il 1959 e il 1960 i giornali italiani, Il Borghese e Lo Specchio in particolare, iniziarono una vera e propria campagna mediatica contro l’omosessualità che venne spesso confusa con il cosiddetto “travestitismo”. Coccinelle e altre artiste del Carrousel De Paris non-conformi dal punto di vista del genere organizzarono spesso spettacoli in Italia dopo che Coccinelle aveva raggiunto grande notorietà nel paese grazie al film Europa di Notte di Alessandro Blasetti (1958). Tuttavia, tale notorietà causò anche attacchi da parte dei media italiani. Coccinelle e le sue colleghe Kiki Moustique e Bambi venivano infatti spesso descritte dai giornali come “anfibi” e “uomini-donna”. Ma le stelle del Carrousel attrassero anche l’attenzione di uomini ammaliati dalla loro bellezza e, nel 1959, Ghigo lanciò la canzone Coccinella dedicandola, verosimilmente, all’étoile del Carrousel de Paris.

Nel corso del 1960 l’omosessualità salì agli onori delle cronache a causa dello “scandalo Feile”, lo “scandalo dei balletti verdi” e l’omicidio di Norman Donges. Nell’aprile 1960 Konstantin Feile, uno scultore tedesco che viveva a Roma e lavorava come guida turistica, finì sulle prime pagine dei giornali – e venne successivamente processato e condannato – per aver organizzato un giro di prostituzione maschile nella capitale. Nell’ottobre 1960 l’americano Norman Donges fu ucciso dal diciassettenne Orante Cardarelli perchè non aveva voluto pagare quanto pattuito per la prestazione sessuale del giovane. Ma fu soprattutto lo scandalo scoppiato a Brescia nell’ottobre 1960 a suscitare forte clamore. Le fantasiose orge descritte dai giornali, spesso alla ricerca dello scandalo politico a poche settimane dalle elezioni amministrative, vennero fortemente ridimensionate dal processo giudiziario che, nel 1964, si concluse con lievi condanne per alcune delle persone coinvolte.

 

Proposte di Legge Contro l’Omosessualità

Uno dei risultati della campagna mediatica costruita attorno a Feile, Balletti e Donges fu la proposta di legge di Bruno Romano, ex membro del partito monarchico passato nelle fila del Partito Social Democratico Italiano. La legge presentata in Parlamento il 29 aprile 1961 e, come la precedente proposta dell’MSI destinata a non essere mai discussa, si presentava come particolarmente punitiva. 

Il disegno di legge prevedeva che chiunque avesse rapporti sessuali o commettesse atti sessuali con persone dello stesso sesso fosse punito con la reclusione (da sei mesi a tre anni) e con una multa (da lire 50.000 a 500.000) (art. 1). Se gli atti sessuali riguardavano un adulto e un individuo di età inferiore ai 17 anni, anche se consenziente, l’adulto veniva punito con la reclusione da 5 a 10 anni (art. 2). Entrambi gli articoli stabilivano che la pena fosse dimezzata se la persona che commetteva il reato era minorenne. L’articolo 3 stabiliva che le pene fossero raddoppiate in caso di violenza o uso di sostanze atte a ridurre la capacità di intendere e di volere della vittima. Le pene raddoppiavano anche 1) se il trasgressore abusava della sua condizione di autorità nei confronti del partner, 2) se ricorreva alla corruzione con danaro od altri beni o 3) se il crimine veniva commesso in località pubblica o dava luogo – o poteva dar luogo – a pubblico scandalo. Infine, il quarto e ultimo articolo stabiliva che chiunque promuovesse o organizzasse azioni e manifestazioni che avessero come finalità “l’apologia della condotta omosessuale” attraverso stampa, radio, televisione, teatro, cinema, convegni o riunioni sarebbe stato punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Nel presentare questa proposta, Romano spiegava che la «perversione sessuale» non era una malattia ma una degenerazione volontaria: il «pervertito omosessuale» era un individuo sano, ma profondamente immorale. Di qui, era dunque necessario che il parlamento intervenisse per affrontare con mezzi adeguati il dilagare di tale «piaga» che metteva in pericolo le nuove generazioni. 

Un ultimo tentativo per criminalizzare l’omosessualità venne fatto dall’MSI nel 1963. Il partito ripropose, sostanzialmente, il testo del 1960. Ma anche questa volta la proposta non venne discussa. In sostanza il Parlamento italiano continuò a seguire la tattica iniziata con l’introduzione del Codice Zanardelli: condannare l’omosessualità socialmente ma non penalmente nel tentativo di mantenerla in una sorta di perenne oblio.

L’unico provvedimento legislativo presente in Italia esplicitamente contro l’omosessualità sarebbe stato dunque l’articolo 28 del Codice Militare che, a partire dal maggio 1964, stabilì l’interdizione dalla leva degli “invertiti”. L’interdizione poteva avere conseguenze assai gravi nel caso in cui si avesse bisogno di un certificato di buona condotta e di sana e robusta costituzione fisica per esercitare alcune professioni e lavorare nella pubblica amministrazione. Questa è stata l’unica norma della legislazione italiana a riferirsi esplicitamente all’omosessualità in chiave discriminatoria. Sarebbe stata abrogata solo nel 1986.

 

Libri e Film

Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta l’omosessualità era presente nella produzione letteraria di, per citare solo alcuni nomi, Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Alberto Arbasino, Giorgio Bassani, Giovanni Testori, Pier Paolo Pasolini e Giò Stajano. Quest’ultimo pubblicò tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta tre libri a tematica omosessuale. Nel 1959 furono dati alle stampe Roma Capovolta e Meglio l’uovo oggi, seguiti nel 1961 da Le signore sirene. La notorietà del primo libro fu tale da inspirare il neologismo “capovolti” per indicare gli omosessuali. La fantasia omofoba de Il Borghese produsse altri due neologismi – ispirati a Pier Paolo Pasolini e Luchino Visconti – ampliamente utilizzati dalla rivista per parlare di omosessualità: pasolinidi e luchinidi. 

Per tutti gli anni Sessanta la stampa e la cultura italiana continuarono a discutere di omosessualità e non conformità di genere. Il cinema in particolare produsse un certo numero di pellicole in cui entrambe le questioni venivano trattate più o meno estesamente. Tra i film possiamo citare Rocco e i suoi fratelli (1960), Un maledetto imbroglio (1960), La comare secca (1961), L’isola d’Arturo (1962), Agostino (1962), Parigi o cara (1962), I malamondo (1964), Se sei vivo spara! (1967), Teorema (1968), Capriccio all’Italiana (1968), Metti una sera a cena (1969) e Vedo nudo (1969). Di particolare interesse, nell’ambito della produzione cinematografica a metà della decade, furono il documentario Comizi d’amore (1964) e il film I complessi (1965). Il primo, girato da Pier Paolo Pasolini, era un viaggio attraverso l’Italia, dal nord a sud, in cui l’intellettuale faceva domande di natura sessuale a italiane ed italiani di diversa estrazione sociale. Invece Il complesso della schiava nubiana, uno degli episodi del film girato nel 1965 da Franco Rossi, faceva riferimento a situazioni liberamente ispirate ai “balletti verdi”.

 

Braibanti 

La fine degli anni Sessanta, e il 1968 in particolare, sono stati narrati come una svolta nella storia italiana. Furono anni in cui famiglia, morale sessuale e comportamenti individuali e collettivi sembrarono cambiare. Tuttavia, è necessario guardare al 1968 non come uno spartiacque, ma piuttosto come un momento di accelerazione nel continuum dell'evoluzione sessuale italiana, un’accelerazione che però non fu l'inizio di un processo irreversibile.

La "liberazione sessuale" della fine anni Sessanta è stata sfuggente, complessa, contraddittoria, incoerente e, soprattutto, non ha liberato tutti. Il movimento studentesco del 1968, pur sostenendo la forza rivoluzionaria della libertà sessuale, non mise in discussione l'eteropatriarcato. Inoltre, alla fine degli anni Sessanta, come dimostrato dal processo ad Aldo Braibanti e dalla tempesta mediatica che seguì l’omicidio di Ermanno Lavorini, gli omosessuali erano ancora percepiti come predatori.

Aldo Braibanti, ex partigiano, artista d’avanguardia e comunista, venne accusato di plagio per aver intrattenuto delle relazioni con due giovani: Giovanni Sanfratello e Pier Carlo Toscani. L’accusa era partita nel 1964 ad opera di Ippolito Sanfratello – padre di Giovanni. Secondo l'accusa, l'imputato aveva plagiato i due giovani sfruttando la loro vulnerabilità psicologica. Braibanti, sostenevano i suoi accusatori, aveva isolato dal mondo Sanfratello e Toscani, li aveva costretti a leggere libri osceni, e li aveva indotti a pratiche omosessuali. Braibanti non poteva essere processato per omosessualità, poiché essa non costituiva reato, ma venne processato per aver violato un articolo del Codice penale, il numero 603, introdotto dal regime fascista nel 1930 e mai applicato prima. Braibanti sarebbe stato l'unica persona in Italia ad essere processata per plagio. Questo reato nell’aprile 1981 sarebbe stato dichiarato incostituzionale poiché, a parere dei giudici, era impossibile verificare che una persona fosse stata soggiogata psicologicamente da un'altra al di là di ogni ragionevole dubbio.

Il rapporto di Giovanni Sanfratello con la famiglia era sempre stato conflittuale, già prima che Braibanti entrasse nella sua vita. Sanfratello visse con Braibanti, in modo discontinuo, dal 1962 fino all'ottobre 1964, quando alcuni membri della sua famiglia fecero irruzione nell'appartamento dove Giovanni e Aldo vivevano a Roma e rapirono il giovane. Dopo il rapimento, Sanfratello fu ricoverato in un istituto psichiatrico e sottoposto, tra le altre cose, ad elettroshock. 

Braibanti non negò di aver avuto rapporti sessuali con Toscani e Sanfratello, ma sottolineò la consensualità di quanto accaduto tra lui e i due ragazzi. La corte ebbe difficoltà a definire il significato di plagio e a identificare la condotta che rientrava in un reato così ambiguo. Per provare la colpevolezza dell'imputato, era necessario dimostrare che l'autore del reato aveva esercitato consapevolmente e volontariamente forme di dominio sulla vittima volte a ridurre la persona a una totale sottomissione. Il giudice fu molto chiaro nel ribadire più volte che Braibanti non era sotto processo per la sua omosessualità, tuttavia, leggendo le dichiarazioni dell’avvocato dell'accusa, del pubblico ministero e la sentenza finale del giudice, è chiaro che l'omosessualità di Braibanti era sotto esame.

Il 12 luglio 1968 Braibanti venne riconosciuto colpevole poiché con mezzi fisici e psicologici aveva posto sotto il proprio potere Pier Carlo Toscani e Giovanni Sanfratello, in modo tale da ridurli in uno stato di totale soggezione. La Corte ridusse la sentenza definitiva contro Braibanti da quattordici a nove anni di reclusione come conseguenza delle azioni patriottiche dell'imputato durante la Seconda guerra mondiale. Il 28 novembre 1969 la Corte d'Assise d'Appello di Roma confermò la condanna di Braibanti ma ridusse la pena a quattro anni. Concedendo a Braibanti un credito per il tempo scontato, la corte lo mise in libertà il 12 dicembre 1969. La corte d'appello respinse l'argomentazione secondo cui il reato di plagio era troppo vago per essere applicato all'imputato e confermò che Braibanti aveva commesso plagio nel caso di Sanfratello e tentato plagio nel caso di Toscani. Pur ribadendo che l'omosessualità non era un reato e quindi non era sotto processo, la Corte sottolineò che le idee rivoluzionarie di Braibanti - insieme alla sua seduzione sessuale - avevano alterato lo stato psicologico di Sanfratello e annientato la sua personalità.

 

Lavorini

Nel corso del 1969 un altro caso aveva attirato l’attenzione degli italiani contro gli omosessuali: la morte di Ermanno Lavorini. Il 31 gennaio 1969 il tredicenne di Viareggio era scomparso senza lasciare tracce. Lo stesso giorno la famiglia aveva ricevuto una richiesta di riscatto. Dopo settimane di ricerche, il cadavere di Ermanno fu trovato sulla spiaggia di Marina di Vecchiano il 9 marzo 1969. L'autopsia rivelò che l’adolescente era morto lo stesso giorno della sua scomparsa.

Fin dall'inizio la polizia e i media avevano puntato la propria attenzione sull’ambiente omosessuale viareggino. Il giorno della scomparsa Ermanno era stato visto per l’ultima volta nei pressi della pineta, un luogo di battuage omosessuale. Secondo gli inquirenti, dunque, le indagini dovevano focalizzarsi su quanti facevano parte di questo mondo. La polizia interrogò molti omosessuali e molti “ragazzi di pineta,” come vennero ribattezzati dalla stampa i marchettari di Viareggio. Dopo giorni e giorni di indagini e interrogatori, il 19 aprile 1969 uno di loro, il sedicenne Marco Baldisseri, confessò di aver ucciso Ermanno. Nei giorni successivi altri due giovani confessarono di essere stati presenti all'uccisione del ragazzo: il ventenne Rodolfo della Latta e il dodicenne Andrea Benedetti.

Da quel momento i giovani iniziarono a rilasciare diverse confessioni, molto spesso in contraddizione tra loro, e ad includere nelle loro storie anche alcuni adulti di spicco come il sindaco di Viareggio, il responsabile del turismo della città toscana, Giuseppe Zacconi – figlio di un noto attore e Adolfo Meciani – proprietario di uno stabilimento balneare. Secondo una delle versioni offerte da Baldisseri e dai suoi amici, Ermanno era stato ucciso durante un'orgia omosessuale finita male. Gli adulti accusati si professarono innocenti. Ma Meciani non riuscì a sopportare la vergogna di essere stato pubblicamente indicato come omosessuale e si suicidò dopo un lungo e crudele linciaggio mediatico. Zacconi invece morì d'infarto nel 1970.

Il giudice istruttore Pierluigi Mazzotti non si lasciò convincere dalla storia dei ragazzi di pineta e iniziò a pensare che gli omosessuali non avessero nulla a che fare con il caso. Marco, Rodolfo e Andrea, oltre a prostituirsi occasionalmente nella pineta, avevano un'altra cosa in comune: erano attivisti di destra. Mazzotti iniziò a fare pressione su di loro, finché Marco rivelò che Ermanno era stato rapito per estorcere denaro e organizzare azioni terroristiche in Toscana. Solo nel 1977, dopo tre processi, la giustizia italiana condannò definitivamente, per la morte di Ermanno, Baldisseri, Della Latta e Pietro Vangioni, leader del gruppo giovanile monarchico di Viareggio. De Benedetti non venne processato perchè dodicenne al tempo dei fatti.

Meciani e Zacconi erano completamente innocenti. La morte di Ermanno non aveva nulla a che fare con l'omosessualità. Il giovane era stato rapito per finanziare il terrorismo neofascista. Ma il caso di Ermanno provocò un'esplosione discorsiva nei media italiani contro l'omosessualità e ancora oggi molti in Italia pensano che Ermanno sia stato vittima di pedofili omosessuali.

In seguito all'omicidio di Ermanno, l'omosessualità finì sulle prime pagine dei giornali e delle riviste italiane, suscitando panico e repulsione. Questo caso dimostrò come alla fine degli anni Sessanta gli omosessuali erano ancora percepiti come pericolosi predatori. Proteggere i giovani dal vizio divenne il ritornello preferito della stampa. Prima della confessione di Baldiserri, gli omosessuali erano considerati colpevoli della scomparsa e della morte di Ermanno, ma anche dopo la sua ammissione di colpevolezza la stampa continuò ad accusarli. Anche se non direttamente coinvolti nel caso, erano comunque visti come responsabili perchè avevano corrotto Marco e i ragazzi che, come lui, frequentavano l’ambiente della pineta. 

Il 1969 fu in Italia l’anno della condanna definitiva di Aldo Braibanti e l’anno dell’omicidio Lavorini. Esso fu l’anno in cui la stampa italiana si lanciò con ferocia contro gli omosessuali presentati come mostri. Ma il 1969 fu anche l’anno dei moti della Stonewall Inn che, nel mese di giugno, diedero il via alla cosiddetta “Gay Liberation”. L’azione di lotta condotta da attiviste e attivisti americani fu essenziale nell’ispirare simili forme di resistenza anche in Europa e in Italia. Uno dei fondatori del FUORI – Angelo Pezzana – guardava con particolare attenzione a ciò che avveniva oltreoceano. Tuttavia, nel ricostruire la nascita del movimento di liberazione in Italia sarebbe fuorviante non tenere in considerazione quanto raccontato finora. La nascita dell’associazionismo omosessuale italiano, prodotto di un lungo processo storico iniziato ben prima degli anni Sessanta, fu sì dovuta al movimentismo giovanile e alle influenze transnazionali, ma fu altresì conseguenza delle tempeste mediatiche generate da diversi scandali e casi giudiziari che puntellarono la storia italiana nel secondo dopoguerra. I media stimolarono consapevolezza e svolsero un ruolo essenziale nello spingere alcuni individui ad organizzarsi per rivendicare i loro diritti.

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Anni Sessanta. Dai Balletti Verdi a Lavorini
Alessio Ponzio

Nel 1962 un gruppo milanese – i Peos – incise un brano intitolato Balletti Verdi. Titolo e testo si ispiravano a un recente fatto di cronaca. Nell’ottobre 1960 la stampa italiana aveva dato grande spazio ad un’inchiesta riguardante l’organizzazione nel bresciano di “festini” a sfondo omosessuale dove, secondo i giornalisti, molti minori erano stati indotti alla prostituzione da adulti compiacenti. Nel giro di qualche settimana lo scandalo da locale divenne nazionale. La stampa iniziò a parlare di questa vicenda come lo “scandalo dei balletti verdi”.

La parola “balletto” veniva utilizzata come metafora per indicare la natura sessuale di tale caso, mentre l’aggettivo “verde” veniva impiegato non solo per indicare la giovane età dei ragazzi coinvolti nella vicenda, ma anche per sottolineare la natura omosessuale dello scandalo. Il colore verde, infatti, veniva spesso associato all’omosessualità, richiamo forse a un vezzo di Oscar Wilde, il quale era solito indossare un garofano verde sul bavero della giacca.

Il fatto che lo scandalo fosse scoppiato non in una grande città, bensì in una realtà provinciale, rese la vicenda ancora più accattivante. I “balletti” vennero visti come un chiaro segnale di come l’omosessualità si stesse pericolosamente diffondendo persino in comunità considerate immuni da tali “pratiche”.


 

Asessualità
Redazione

DALL·E 2023-11-29 11.26.40 - An illustrative image showing a diverse group of people gathered in a natural setting, highlighting the theme of asexuality. The scene includes a pers.png

L'asessualità: una sfumatura dell'orientamento sessuale da comprendere e rispettare